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Politica
Governo, Giorgetti duro e Salvini timoroso. La verità sul dualismo nella Lega

Il Corriere della Sera di questa mattina apre con un'intervista al leader della Lega, Matteo Salvini, con un titolo eloquente, inequivocabile: 'Il governo non cadrà'. Alle ore 13:11 esce la prima Adnkronos con le dichiarazioni del numero due della Lega, Giancarlo Giorgetti, alla stampa estera: 'GOVERNO: GIORGETTI, 'NON ACCUSO CONTE MA COSI' NON SI PUO' ANDARE AVANTI'. Una differenza quantomeno di lunguaggio che non è mai stata così evidente.

All'interno del Carroccio, fonti qualificate contattate pochi minuti dopo le parole pronunciate dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, assicurano che "non c'è alcuna divisione tra Salvini e Giorgetti". E che "quello che dice GG è quello che pensiamo tutti", facendo riferimento alla frase "non accuso nessuno, tantomeno il premier, ma così non si può andare avanti, senza affiatamento. Questo affiatamento va ritrovato, sennò non si va avanti". Parole scontate, quasi doverose.

Fatto sta che nella Lega emergono ormai giorno dopo giorno due volti, due modi differenti di leggere la situazione politica e soprattutto il rapporto con i 5 Stelle. Giorgetti dichiara di essere "disponibilissimo" a un passo indietro ("se me lo chiedono"), ma tutti sanno - Luigi Di Maio e Giuseppe Conte in testa - che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio rappresenta la storia del Carroccio e di fatto è intoccabile. "GG non è Siri, se casca lui casca tutto. Ovvio", affermano altre fonti leghiste.

Salvini è in imbarazzo perché sa che continuare ad affermare che l'esecutivo non cade e va avanti altri quattro anni rischia di far infuriare la base dei padani duri e puri del lombardo-veneto (quelli che rimpiangono la secessione) proprio alla vigilia delle cruciali elezioni europee. Ma nonostante l'altolà all'autonomia regionale, il rinvio del Decreto Sicurezza bis e i dubbi sulla flat tax (solo per citare qualche esempio) il ministro dell'Interno non può spingersi troppo in là e provocare la crisi che molti leghisti vorrebbero e che Giorgetti evoca ormai da giorni.

Salvini teme che se cade il governo Conte le elezioni anticipate non saranno così scontate. E anche se non si dovesse arrivare al governissimo con fuori solo il Carroccio di cui ha parlato il democristiano Gianfranco Rotondi la preoccupazione è che si vada ad un esecutivo di Centrodestra con transfughi dei 5 Stelle, soprattutto se i pentastellati non dovessero andare particolarmente bene alle elezioni europee. Il problema è che il segretario della Lega - ancora troppo ruvido con le istituzioni Ue, in lite perenne con gererarchie vaticane e senza legami nell'establishment economico-finanziario - non sia ben gradito per il ruolo di presidente del Consiglio.

Ruolo che invece potrebbe ricoprire proprio Giorgetti (nonostante lui nelle conversazioni private neghi fortemente questa ipotesi) che, guarda caso, è amico di Mario Draghi, ben visto Oltretevere e negli States e stimato a Bruxelles e a Strasburgo. Ed ecco che nel Centrodestra - area Forza Italia e Fratelli d'Italia - leggono il dualismo ai vertici del Carroccio proprio con questa chiave di lettura: Salvini ha paura che se cade Conte la sua uscita dal governo sarà definitiva, mentre per il numero due leghista potrebbe esserci addirittura un trasloco a Palazzo Chigi dagli uffici di sottosegretario a quelli di premier.

Altro tassello è l'accento che il ministro dell'Interno mette sulle cose fatte, sui provvedimenti portati a casa come legittima difesa, quota 100 etc... Al contrario, Giorgetti si concentra sul futuro e, appunto, afferma che se non si ritrova l'affiatamento non si va avanti.

Differenze che si rispecchiano anche nella gerarchia del Carroccio. I più vicini al modo di muoversi di Giorgetti ci sono soprattutto uomini della vecchia guardia e che hanno resistito alla svolta salviniana. Tra loro sicuramente il sottosegretario alla presidenza del Consiglio (Rapporti con il Parlamento) Guido Guidesi, ma anche i due sottosegretari all'Interno Nicola Molteni e Stefano Candiani (più il primo del secondo, considerato proprio un giorgettiano doc), così come l'ex sindaco di Padova ed ex capogruppo a Palazzo Madama e ora sottosegretario al ministero dell'Economia Massimo Bitonci.

Anche il deputato bergamasco Cristian Invernizzi, commissario della Lega in Calabria, viene considerato un fedelissimo del sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Raffaele Volpi, ex responsabile di NoiconSalvini (movimento del Centro-Sud quando ancora esisteva la Lega Nord) e sottosegretario al ministero della Difesa, viene considerato un giorgettiano soft, comunque con ottimi rapporti anche con il leader e vicepremier. Il più duro di tutti contro i 5 Stelle è ovviamente il vice-ministro alle Infrastrutture Edoardo Rixi che Di Maio e i suoi vogliono dimissionario in caso di condanna per la vicenda delle spese passe in Regione Liguria (la sentenza arriverà appena dopo le urne).

Tra i fedelissimi di Salvini c'è tutta la nuova guardia, dal presidente della Commissione Trasporti della Camera Alessandro Morelli agli economisti euro-scettici Claudio Borghi e Alberto Bagnai, fino al ministro delle Politiche Agricole Gian Marco Centinaio. Con il vicepremier al 100% anche il ministro della Famiglia Lorenzo Fontana, così come i due capigruppo Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo. Ma attenzione, anche tra i salviniani doc non mancano critiche al M5S, "si tratta solo di come intepretare questa fase e di come muoversi nei confronti dei 5 Stelle", spiega un senatore leghista di lungo corso.

La Lega non è più il partitino del 3% relegato all'opposizione; domenica quasi sicuramente sarà la prima forza del Paese e da lunedì dovrà prima di tutto trovare una sintesi al proprio interno, prima ancora che con il premier Conte e con Di Maio e il M5S.

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