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Politica
Governo: il Pd soffia sul fuoco, fra gazzarre e pugni al vento

La gazzarra di ieri alla Camera dei parlamentari del Pd contro il governo nel corso della discussione sulla Manovra conferma che perdere il potere logora e fa perdere, oltre alle staffe, anche la faccia. In passato, battute, insulti e zuffe non sono mai mancati in parlamento, specie alimentate dai comunisti contro i “cornutacci” democristiani (così li definiva Giancarlo Pajetta), ma per lo più con sarcasmo e senso dell’umorismo, senza tradire la propria coerenza politica. In questo caso, invece, tracima la febbre degli isterismi personali, cartina del tornasole di un partito allo sbando, ancora con la bile nel gozzo per la debacle elettorale del 4 marzo.

Dov’è la coerenza del Partito democratico che oggi si erge a difesa dei pensionati e dei ceti più deboli quando ha avallato il Jobs Act, (la legge ko dello statuto dei diritti dei lavoratori), quando ha eretto a totem il mercato e la finanza, quando ha minato il modello di mediazione tra impresa e lavoro alla base dello stato sociale?

Quel Partito democratico decisivo per anni in Parlamento, ad esempio in quello precedente eletto con una legge incostituzionale dove c’era una maggioranza che non era maggioranza dei votanti ma dovuta al premio di maggioranza e che ha varato leggi-capestro sul lavoro (legge Fornero) azzerando le conquiste e i rapporti di forza, senza neppure il confronto con i sindacati, ridotti a belle statuine. Qui siamo. Poi si può ironizzare sulla battuta del premier Conte ieri in conferenza stampa sul taglio pensioni: “Siamo intervenuti sulle fasce più alte delle pensioni, con un taglio progressivo, abbiamo introdotto un processo di indicizzazione raffreddato, quasi impercettibile, parliamo di qualche euro al mese, forse non se ne accorgerebbe nemmeno l'avaro di Molière”.

Ma la sostanza politica non cambia. Come non cambia il Pd, impelagato nelle sue beghe interne di primarie e congresso. Il 2018 ha sancito il disastro del PD e della sinistra, oggi in totale sotto il 20% dei consensi, poco più di un terzo di quanto i sondaggi danno complessivamente ai due partiti al governo, al M5S e alla Lega, prossimi al 60%! Pd e sinistra continuano a dilaniarsi, brancolano nel buio, privi di identità, di progetto politico-programmatico, di leadership, di alleanze politiche e sociali. Basta ergersi a paladini di un generico, pasticciato, rissoso malcontento contro la manovra economica del governo per recuperare credibilità e consenso?

Il rischio è proprio quello di tirar pugni al vento, di rinchiudersi in un populismo sgangherato giocando al “più uno” con il risultato di isolarsi ulteriormente, perdere ancora consensi. La coperta è corta. Se il Pd soffia sul fuoco della protesta di piazza, può recuperare frange radicali e rissose minoritarie ma perde le componenti riformiste, popolari, solidariste e liberali, già fortemente deluse e già nel mare magnum del disimpegno politico e dell’astensionismo elettorale quando non già passati o pronti a passare sull’altra sponda, con i 5 Stelle o ancor di più con la Lega di Salvini.

Insomma, il Pd resta in mezzo al guado e non sa dove andare: da una parte è esposto ai rischi del massimalismo, dell’astrattismo, del “nullismo” e dall’altra al rischio di perdere autonomia ideale e politica, di smarrire la prospettiva del rinnovamento di sinistra, di diventare l’espressione dell’establishment come è già accaduto per esempio nel rapporto con l’Europa inchiodata da novelli “mandarini” nello status quo dei bilanci da austerity. Una Europa attestata su una posizione autolesionista di apertura indiscriminata sull’ immigrazione, patata bollente che richiama alla sicurezza dei cittadini decisi a sostenere la linea di Salvini contro quelladi una sinistra harakiri pervicacemente utopica.

La sfiducia, il risentimento, la volontà popolare di farla finita con “questa” Europa del Palazzo cresce a dismisura ed è basata su dati di fatto. Salvini lo sa e batte sul ferro incandescente senza cadere nella trappola delle “idiozie sovraniste”: alle elezioni di maggio non con un programma antieuropeo tout-court, bensì puntando su una Europa “autonoma” e forte, non ingabbiata dai poteri forti o dalle due Superpotenze mondiali, rivoltata come un calzino, una linea politica innovativa quanto realistica, capace di convincere e portare voti. E il Pd, e la sinistra, per evitare il harakiri, hanno niente di nuovo da dire? Se il buongiorno si vede dal mattino, Pd, Leu, Lista Bonino&C, incapaci di definire e condurre una politica di “lotta e di governo”, si stanno infilando nell’occhio del ciclone.

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