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Politica
Governo, o si fa o si vota. Il “pallino” in mano a Salvini. Pd e Sinistra out
Foto LaPresse

Il nodo di Paolo Savona all’Economia si stringe per il “veto” del capo dello Stato mettendo così a rischio la formazione del nuovo governo. Se, come si ribadisce dal M5S e dalla Lega, non c’è un piano B per sostituire il Prof euroscettico voluto dal premier incaricato e dalla sua maggioranza, lo scontro sul titolare del Tesoro fra maggioranza e Colle può cancellare il percorso fatto, ripartendo dall’inizio, in un logorante gioco dell’oca. La diatriba non è di lana caprina. Savona non costituisce solo il baricentro su cui poggia la complessa e articolata formazione del nuovo esecutivo Conte ma diventa il simbolo di un braccio di ferro fra poteri politici e istituzionali – di fatto fra élite e cittadini elettori -dove la nuova maggioranza nata dal voto degli italiani non intende piegarsi a interferenze e tanto meno diktat di nessun tipo e provenienza, neppure di fronte al Colle e alle sue prerogative costituzionali.

Il “pallino” politico, come e più di prima, ce l’ha in mano Matteo Salvini che su Facebook lancia dritto il sasso verso il Colle: “Sono davvero arrabbiato” ricevendo, oltre alla forte spinta sui social, un immediato e significativo “mi piace” da parte dell’alleato Di Maio, a dimostrazione della attuale compattezza fra M5S e Lega su Savona, e non solo. Per il leader leghista è grasso che cola: comunque vada gli va più che bene. O questo governo o subito al voto è più di uno slogan. E’ un vantaggio che vale oggi sul piano politico e pesa domani su quello elettorale. Salvini non cerca un pretesto per mandare tutto “a carte quarantotto” ma può arroccarsi sul nodo Savona perché sa di avere, in caso di caduta dal trapezio sulla formazione del nuovo governo, il tappeto sotto rappresentato dal ritorno alle urne, considerato manna dal cielo per il probabile pieno di voti. All’opposto, in posizione scomoda, c’è Di Maio: non ha interesse per le elezioni anticipate a breve ma se c’è lo strappo non può lasciare alla Lega mano libera nel ruolo di vittima dei poteri forti (Quirinale, Eu, Palazzo ecc.) decisi – in tal caso anche con l’avvallo dei 5Stelle - a far saltare la “rivoluzione” promessa e tracciata dal partito di Salvini. Comunque è aperta nel Paese, pur fra limiti e contraddizioni, una fase nuova che impone una sfida politica e culturale diversa e fuori dallo schema della contrapposizione novecentesca destra-sinistra. Ciò vale soprattutto per il Pd e la sinistra incapaci di una analisi critica sulle ragioni della batosta del 4 marzo e di riesaminare se stessi in un processo di rinnovamento fin qui campato in aria, senza basi ideali e politiche. C’è una sinistra ai piani bassi impegnata a lucidarsi i bottoni sempre in attesa della riscossa dell’ora X. E c’è una sinistra salottiera dei piani alti che s’attacca allo spread, fa spallucce e ironizza: “Salvini arrabbiato? Che paura!”. Invece la paura fa 90: se si fa il governo “giallo-verde” Pd e sinistra restano “nudi e crudi” e se invece salta tutto e si va presto al voto anticipato il Pd svaporato si estingue insieme ai rimasugli di una sinistra senza identità, progetto, leadership, inutile al Paese. Non c’è ancora, il governo. Men che meno c’è l’opposizione.

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