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Politica
Governo, Pd dilaniato: i renziani contro Martina, Richetti e Franceschini

La sconfitta elettorale del 4 marzo, la sesta consecutiva dal 2016, la settima se consideriamo anche le Regionali lombarde, ha lasciato un Pd sempre più dilaniato malgrado la "blindatura" dei fedelissimi attuata da Matteo Renzi nella famigerata notte delle candidature.

Dopo le dimissioni dell'ex segretario e l'avvento di Maurizio Martina quale reggente del partito, le lotte intestine si sono infatti moltiplicate e in particolare la base renziana ha trovato "nuovi" soggetti sui quali scaricare la propria avversione.

Ultimo in ordine di tempo: Matteo Richetti, reo di aver dato vita in via ufficiale a una nuova corrente "harambee", una parola kenyota che significa "oh-issa", assieme a Maurizio Martina, Marianna Madia e Gianni Cuperlo, quest'ultimo da sempre visto come la peste dai renziani doc.

Secondo i fedelissimi di Renzi, almeno dai commenti comparsi sui social network, affidare la comunicazione dem a Richetti è stato un gravissimo errore - malgrado molte gole profonde abbiano dichiarato che avesse in fondo le mani legate, e che fosse sempre e comunque Renzi a manovrare il tutto attraverso pagine fintamente ufficiose e in realtà ufficiali quali Matteo Renzi News e Avanti con il Pd, gestite da Alessio De Giorgi in collaborazione con suo marito, il ventenne moldavo Nicolae Galea. Su Millennials Pd, pagina che ospita contributi di Galea, qualche mese fa scoppiò una bagarre per via di un post - scritto dal giovane moldavo - che appariva contrario allo Ius Soli e che scatenò le ire dei giovani Democratici (che ne presero furiosamente le distanze). Fu per questo motivo, probabilmente, che il discorso di Galea riguardo allo Ius Soli previsto sul palco della Leopolda fu cancellato all'ultimo momento. Il povero Richetti, insomma, fu chiamato a districarsi in questo ginepraio e da molti renziani agguerriti finì per essere considerato una sorta di usurpatore smanioso di scalare il partito a discapito del loro idolo

Su Dario Franceschini e Maurizio Martina, le invettive dei renziani si sprecano, corredate dalle accuse di volersi piegare alle lusinghe di Luigi Di Maio per costituire un governo m5s-Pd. Si sprecano i #senzadime - hashtag che va per la maggiore in quel del Pd per decretare il categorico rifiuto ad alleanze con i grillini - e, sulle pagine e sui profili prettamente e orgogliosamente renziani, si invoca un'unica soluzione: che Matteo Renzi ritiri le dimissioni e si ripresenti candidato alla segreteria del partito.

Il 21 aprile, intanto, si terrà l'assemblea nazionale dem, e Matteo Richetti ha già fatto sapere che - se il consesso dovesse decidere per le primarie - egli sarà pronto a candidarsi alla guida del partito. Basta questo a fare di lui il nuovo nemico numero uno dei renziani, che in un caso lo tacciano addirittura di "invidia giudea" sollecitando lo storico dirigente Aurelio Mancuso, una delle voci dem più riflessive e intellettualmente oneste nonché membro del Comitato 5 marzo per la rinascita del Pd, a prendere le distanze da siffatti toni che sfociano addirittura nell'antisemitismo. Ancor più duro il dirigente Giuseppe Provenzano, che qualche mese fa rinunciò alla candidatura in aperto contrasto con la linea dell'ex segretario; Provenzano stigmatizza le critiche dei renziani al curriculum di Di Maio, chiedendo pubblicamente quale sia invece il curriculum del fedelissimo di Renzi Luca Lotti, "dei famigliari e dei trasformisti che [Renzi] ha raccattato nelle liste elettorali".

Il giovane Giuseppe Morelli, membro dell'assemblea Pd romana, si lascia andare a un'amara considerazione: "La sonora sveglia del 4 marzo è stata una sconfitta della linea politica incentrata sull'uomo solo al comando. Uomo solo che in alcuni casi ha avuto il supporto di milioni di fan piuttosto che di militanti di partito. Una sconfitta anche della linea programmatica che ha eluso le problematiche e i desideri dei precari, di chi vive sulla propria pelle la flessibilità imposta dal nuovo mondo del lavoro. Le liti intestine? Sono il risultato finale dell'assenza di politica".

Voci che si levano quasi solitarie in un dibattito dominato dalla tifoseria più infuocata. La batosta del 4 marzo sembrerebbe insomma aver insegnato poco o nulla e il redde rationem tra renziani e chiunque essi accusino - a fasi alterne - di aver tramato per la caduta dell'ex premier e segretario, prosegue più accanito che mai, a tutto discapito dei consensi e a tutto favore dei grillini. 

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