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Politica
Governo, Pd pensa allo strappo. Ma c'è l'idea Franceschini premier
Foto LaPresse

Il segno è già stato passato da un pezzo e Nicola Zingaretti lo fa capire ai ministri e sottosegretari dem coi quali sta continuando a riunirsi in questi giorni concitati intorno al futuro dell'Ex Ilva e non solo. Si succedono gli incontri in una sorta di gabinetto di guerra al quale partecipano anche i capigruppo, Andrea Marcucci e Graziano Delrio. Ma soprattutto i ministri competenti per la manovra economica, con Roberto Gualtieri in testa. Nel mirino del Pd c'è l'atteggiamento degli alleati di governo, Luigi Di Maio e Matteo Renzi. "Meglio se non tiri troppo la corda con questi giochini", è il mantra di questi giorni di alcuni ministri dem, "perché stavolta potrebbe spezzarsi".

A esasperare il Pd le posizioni intransigenti del M5s sul caso ex Ilva ma anche l'annuncio via Twitter fatto da Renzi sulla cancellazione dei provvedimenti riguardanti le auto aziendali, con la rimodulazione dei benefit. Le continue uscite "fuori dal coro" di Renzi si stanno ripercuotendo sui dem che si dicono "insofferenti" rispetto alle continue "provocazioni" dell'ex compagno di partito e che non vogliono essere presi in mezzo tra i due alleati. Che Renzi stia cercando in tutti i modi di mettersi al centro dello scacchiere, è molto più di un sospetto per i dirigenti Pd. 

Nei dem è sempre più diffusa la convinzione che, al di là del merito del caso Ilva, il mirino di Renzi abbia ormai inquadrato il Partito Democratico con lo scopo di indebolirlo. Per questo c'è già chi, tra i parlamentari alla Camera, evoca la mozione sulla Tav risultata fatale per il Conte I. Zingaretti, però, lo ha già detto: "Il Pd non è disposto a governare fra nemici", aggiungendo una frase che suona premonitrice: "Il governo va avanti se fa le cose per gli italiani, altrimenti perde la sua ragione d'essere". Una formula utilizzata nel recente passato anche da Matteo Salvini, prima che Conte rassegnasse la sue dimissioni. 

E allora si fa strada l'ipotesi delle elezioni anticipate dopo la legge di Bilancio. Tra i falchi ci sarebbe in prima fila Delrio. Ma c'è un'altra ipotesi. Stiamo parlando di un possibile nuovo governo con una guida Dem. Un'ipotesi alla quale guardano con favore non solo una buona fetta dei parlamentari del Pd ma anche quelli di Italia Viva, desiderosi di evitare la sfida elettorale in tempi brevi.

Un'ipotesi per la quale servono due fattori: il primo un ricambio della leadership anche in seno al M5s. E con l'addio di Elena Fattori e l'assalto guidato da Nicola Morra, presidente della Commissione Antimafia, il ruolo di Di Maio non sembra più così solido.

Il secondo è l'individuazione di una figura papabile all'interno del Pd. E in questo caso il nome possibile potrebbe essere quello di Dario Franceschini. Non è un caso che proprio il ministro e capodelegazione del Pd sia il grande mediatore tra gli alleati di governo. In un'intervista al Corriere della Sera, Franceschini ha dichiarato che serve "un nuovo patto con Renzi e M5S. Basta furbizie, si decide insieme".  Secondo Franceschini "bisogna fermarsi prima che sia troppo tardi". "La nostra - dice sull'appoggio del Pd al Conte II - è stata una scelta consapevole e convinta. Ma ci sono delle condizioni minime per andare avanti. Per esempio, sulla Finanziaria, dopo aver scalato una montagna che pareva insormontabile e che ha indotto Salvini a scappare da Palazzo Chigi, è emerso un senso di precarietà è prevalsa la logica delle bandierine di partito. Si sono addirittura fatti appelli alle opposizioni per ricercare in Parlamento maggioranze trasversali su emendamenti alla legge di Bilancio. E' inaccettabile". 

Parole concilianti e costruttive, certo, ma indirettamente anche una candidatura a un ruolo di primo piano qualora tutti i tasselli vadano al loro posto.

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