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Politica
Governo: Salvini e Berlusconi alleati “per forza”. Ma il capo è Matteo

L’Italia è nel cuore del Mediterraneo ma per la politica nostrana Damasco è lontana, mentre il Colle è a due passi. Là Trump&soci “giocano” con i missili sui cieli siriani, qui capi e capetti del M5S, del centrodestra, della sinistra si ripetono nel “gioco dell’oca”. Anche il secondo giro delle consultazioni al Colle è il replay del primo, tra ripicche e veti incrociati, più lo show fuori spartito, del solito Cav, insuperabile nell’arte del “rubamazzo”. Si torna al punto di partenza. Frutto del 4 marzo dove hanno vinto un po’ Di Maio e Salvini e sono andati in malora Pd e sinistra. Vale sempre la regola: se hai i numeri governa, ma se non ce li hai abbassa la cresta, apri le tue porte, costruisci ponti, cerca alleati, fa compromessi, in una parola: fa’ politica. I giudizi sulle persone possono mutare così come possono cadere i veti. Quel che conta è il che fare, come fare e con chi: accordi politici e programmatici alla luce del sole, davanti agli italiani per rimettere in sesto un Paese alla fonda, nel groviglio di interessi economici, di poteri burocratici e mediatici burattinai di questa politica ridotta a teatrino dei pupi e a melma indifferenziata. E adesso?Mattarella, spazientito, rilancia: “Se ci sarà ancora stallo, costretto a intervenire”.

Siamo ai tre squilli di tromba che precludono al cambio di passo del Colle per affermare, oltre al dettato costituzionale, il buon senso e dare a breve un governo al Paese: non restare ostaggio dei partiti, ma senza scavalcarli e men che meno lasciandoli fuori gioco, stimolandoli a superare i divieti contrapposti, spingendoli a trattare in modo diretto fra loro nell’ambito di una fase nuova incentrata su un mandato esplorativo o un pre incarico (a Fico, alla Casellati?). In questo caso fa bene Salvini a rendersi indisponibile per un eventuale preincarico, un salto nel buio. Chi ha più tela tesse e chi ha più fantasia rilancia il gioco, magari in zona Cesarini, e oltre. Si va per esclusione.

Fuori gioco è il Pd a pezzi, nel gorgo; fuori gioco è Renzi che spera ancora nella riesumazione del patto del Nazareno, in un rientro del suo partito-clan attraverso un “impossibile” esecutivo con Berlusconi (Forza Italia) capace di convincere Salvini (Lega) in una operazione marcatamente trasformista e di potere. Un vicolo cieco. Al Pd (e alla sinistra) resta – per adesso – solo il mea culpa, l’imbocco della via crucis sperando che non finisca sul Golgota. A Berlusconi resta solo una scelta, quella del centrodestra unito, con Salvini sulla tolda di comando, unica voce e unico capo della coalizione uscita dalle urne con la maggioranza relativa dei voti. Non è e non sarà, fra i due – Silvio e Matteo - una convivenza facile. Stranieri nella stessa terra, diversi in tutto ma “condannati”, per ora, all’alleanza. Una rottura sarebbe la fine politica di entrambi. Calma e gesso, soprattutto per Salvini che dovrà armarsi di elastico, tenere la barra diritta, il basso profilo, restando ancorato alla politica del fare, battendo sul tasto della responsabilità, mantenendo una propria autonomia sui contenuti, smarcandosi e ammortizzando le bordate del Cav come la sceneggiata dell’altro ieri dopo le consultazioni al Colle.

Poco importa sapere se si tratta di provocazioni studiate a tavolino per prendere le misure a Matteo e farlo scivolare sulla buccia di banana delle sue provocazioni o solo smania di protagonismo del rais di Arcore per riprendersi la scena dopo aver metabolizzato, col rospo nel gozzo, che per la prima volta lui era “di lato”, non più “al centro”. Di qui la recita, più un “misirizzi” alla Ercolino che un Totò spompato. Per un attimo Salvini, imbarazzato, ha vacillato, accusando il colpo. Poi ha capito l’antifona, stando al gioco e riprendendo in mano il pallino. Berlusconi resta Berlusconi. Gli va data corda. Più corre in avanscoperta, più lo strappo del contraccolpo gli toglie fiato, certezze, speranze. Da primatt’ore a comparsa. Il Matteo, con il fiuto del sensale da paese, lo sa. E’ la scuola di Bossi che però predicava bene e razzolava male. Berlusconi capirà presto che Salvini non è Fini né Alfano né Follini: tutt’altra pasta, sornione, senza la puzza sotto il naso, la supponenza, l’arroganza e la smania di dar lezioni. Giù dal pulpito perché tanto sa che non ci arriva. Non annuncia, fa, mette sul tavolo i numeri e aspetta che l’interlocutore capisca che in guerra nessuno vince. Vietato sbagliare vale anche per Salvini.

Non è lui che deve stare con la clessidra in mano, annunciare limiti della propria pazienza, richiamare i litigiosi Forza Italia e M5S, minacciare: “Se continua così, se continuano a bisticciare, si stuferanno gli italiani, mi stuferò io e tra un mese si tornerà alle urne. O la smettono o si vota”. Segnale di insofferenza. Colpo a vuoto. Serve l’ago, non la forbice. Trovare strade alternative, pur impervie, per arrivare comunque alla meta. Ieri Affaritaliani ha svelato l’escamotage tecnico-politico del centrodestra per superare l’empasse. E’ l’ipotesi – per adesso solo abbozzata - dei “gruppi unici” in Parlamento tra Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia con Salvini investito nel ruolo di unico capo politico della coalizione uscita “vincente” dalle urne così da superare il niet di Di Maio su Berlusconi, in tal caso … “defilato” ma pursempre a pieno titolo nella maggioranza di un inedito esecutivo M5S-Centrodestra. Un modo per salvare capra e cavoli? Si vedrà. Comunque vada, resta centrale il ruolo di Matteo Salvini, l’esigenza di un suo salto di qualità da capo partito a capo della coalizione capace di costruire una alleanza fra diversi, credibile e in grado di dare un buon governo al Paese. Un passo alla volta: bruciare i tempi può portare a scottarsi. Hic Rhodus, hic salta. Di troppa leadership si muore. Ma senza leadership non si va lontano.

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