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Politica
Governo, Salvini-Di Maio senza maggioranza.Mattarella e l'ucronia di primavera

In un bel giorno di sole dell’aprile 2018 Sergio Mattarella si alzò di malumore. Pur essendo il Presidente della Repubblica Italiana, era abituato a condurre una vita tranquilla. La carica non lo aveva cambiato: si sentiva soltanto un anziano magistrato, magari un buon giurista, ma ciò che apprezzava di più, era essere lasciato in pace.

Così, con la scusa di non interferire nella vita politica del Paese, ed anche con quella della propria stessa dignità di Presidente che non gli avrebbe permesso di spendersi con troppa generosità, riusciva a vedere poca gente. Passava il tempo a leggere buoni libri, ascoltare musica classica e sfogliare ogni tanto qualche giornale, tanto per vedere a che punto fosse giunta la follia dei suoi concittadini.

Ma in quei giorni tutto era diverso. Poco più di un mese prima c’erano state le elezioni politiche ed ora il programma della sua giornata era divenuto devastante. Erano previsti incontri con i Presidenti delle Camere, con gli ex Presidenti della Repubblica e soprattutto con le fameliche delegazioni dei partiti. Tutti sarebbero venuti a dirgli quello che sapeva già e tutti gli avrebbero chiesto quello che non poteva concedere e nemmeno promettere. Ma i riti della Repubblica non sono un optional, e così doveva scontare i precedenti mesi di calma e silenzio con questa tempesta di parole, di facce, di seccature. Col rischio di non ricordare i nomi delle più piccole formazioni politiche e di offendere qualcuno. Cosa del tutto aliena dal suo temperamento rispettoso del prossimo.

Per fortuna – sulla sostanza degli incontri - aveva le idee perfettamente chiare. Così, quando si cominciò a fare sul serio, aveva già pronto il suo pistolotto finale.

La prima delegazione che si presentò al Quirinale fu la pletorica rappresentanza della coalizione di centrodestra. Il Presidente lasciò parlare tutti, mantenne inalterato il suo sorriso paziente ed elusivo, ed alla fine disse semplicemente:

-Insomma, siete la prima coalizione e avete avuto il massimo dei voti, ma i vostri seggi non vi bastano per avere la maggioranza. Ora, se io dessi a uno di voi l’incarico di formare il nuovo governo, e voi non riusciste ad ottenere lae fiducia, il vostro governo rimarrebbe in carica per gli affari correnti, e tutti mi accuserebbero di avervi regalato un governo azzoppato, ma sempre meglio di niente. Dunque vi faccio i miei migliori auguri, ma non posso fare nulla per voi. Andate a cercarvi una maggioranza e tornate quando l’avrete trovata.

Con la delegazione dei “grillini” la cosa andò esattamente nello stesso modo. Di diverso gli disse che erano “la seconda” forza politica, invece della prima, ma per il resto tutto uguale. Naturalmente Luigi Di Maio protestò: il popolo aveva designato lui come Primo Ministro e dunque aveva diritto a vedersi conferire l’incarico. Più altre affermazioni di questo genere, ma Mattarella non si scompose. Aspettò che finisse, e poi con la calma di un commissario di concorso gli spiegò:

-Caro il mio Di Maio, tutte queste affermazioni sono talmente infondate che, giuridicamente, sono tamquam non esset, anzi, più esattamente, tamquam non essent.

E il povero Di Maio, che non aveva studiato latino, non sapendo che cosa rispondere, se ne andò con la coda tra le gambe a cercarsi una maggioranza.

Quando fu la volta del Pd, l’approccio fu imbarazzante. Mattarella, molto evidentemente, non conosceva i delegati e gli dovettero indicare Maurizio Martina. Il Presidente gli strinse la mano e gli sfuggì un “Piacere” di cui si pentì immediatamente.

Con loro il problema della maggioranza non si poneva neppure. E quando gli dissero che avrebbero sostenuto un governo che avesse accettato il loro programma, li approvò con un sintetico: “Capisco, capisco”. E li accompagnò alla porta.

Passarono delle settimane, e l’Italia scalpitava. I malumori contro il Presidente della Repubblica montavano. Ma come, perché non aveva tirato fuori un coniglio dal cilindro, come tutti si aspettavano? Quando glielo riferirono, il Presidente non poté reprimere un sorriso: “Ma questi scambiano i notai per prestigiatori?”

E tuttavia quando i partiti chiesero di essere ricevuti per esprimere la loro frustrazione, disse a tutti loro: “Amici, siete venuti ad allargarmi le braccia. Ebbene, anch’io vi allargo le braccia. Non sta a me risolvere il problema. E non posso conferire l’incarico a chi non ha una maggioranza precostituita. Tutto quello che posso fare è conferire un incarico esplorativo al Presidente del Senato”.

Uno degli astanti non si trattenne:

“La Presidente del Senato. La”.

“Chiunque sia”, tagliò corto il Presidente. Ma la fatica della signora Maria Elisabetta Alberti Casellati, malgrado il suo nome sesquipedale, non ebbe fortuna. L’esplorazione fu vana: non c’era nulla da scoprire, in quel deserto piatto, arido, e assolutamente improduttivo.

E fu così che il Presidente, infastidito dal caldo che già entrava dalle grandi finestre del Quirinale, sciolse le Camere e augurò buone vacanze a tutti. E poi, sollevato, disse al suo Segretario. “Almeno per qualche mese, questi mi lasceranno in pace”.

giannipardo@libero.it

1°Aprile 2018

L’utopia è qualcosa che si racconta, ma in realtà non si è verificata “in nessun luogo”. L’ucronìa non si è verificata “in nessun tempo”. Per esempio, “Storia di che cosa avvenne dopo la vittoria di Napoleone a Waterloo”.

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