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Governo, “tregua armata” fra Salvini e Di Maio

Governo, “tregua armata” fra Salvini e Di Maio

Dunque, il premier e i due vice premier, dopo le bacchettate del primo e il “guardarsi negli occhi” dei secondi e dopo il pieno di critiche reciproche e il vuoto di autocritiche, decidono di proseguire insieme con il governo gialloverde evitando così lo sbocco delle elezioni politiche anticipate. Peraltro, la conferma del governo è una scelta obbligata perché oggi alternative pronte e credibili non ci sono. Nella maggioranza e nelle opposizioni sono in tanti a invocare il voto politico anticipato, per lo più brandendolo come minaccia, ma nessuno lo vuole veramente perché tutti ne temono i rischi, politici e personali. Lo stesso Salvini sa bene che vincere le elezioni Europee non porta automaticamente al bis trionfale nelle politiche successive. Non stanno lì, come monito, i precedenti del Pci di Berlinguer nel 1984, di Forza Italia di Berlusconi nel 1994, del Pd di Renzi nel 2014? I ballottaggi del 9 giugno nei comuni non intaccheranno la realtà emersa dalle Europee con la Lega volata al 34% e il M5S sprofondato a meno della metà del suo alleato di governo, superato anche dal Pd: quindi l’esecutivo Conte va avanti, per adesso.

Ma come va avanti? Per fare cosa? Al di là dei proclami e delle etichette, il pallino resta in mano a Salvini. Il leader della Lega deve capitalizzare il grande risultato del 26 maggio, traducendolo in scelte politiche e di potere. Operazione non facile: al trionfo della Lega in Italia non è corrisposto negli altri Paesi del continente il successo del fronte sovranista. Così nella Ue e nel suo parlamento Salvini rischia di diventare “un vaso di coccio tra vasi di ferro”. Per evitarlo, come primo passo, il leader del carroccio vuole che Conte nomini il ministro per gli Affari europei, carica oggi ricoperta pro tempore dallo stesso premier. Una situazione non migliore in Italia, dove il trionfo del 26 maggio non cambia di una virgola (né di un seggio…) i numeri e i rapporti parlamentari fra le forze politiche, soprattutto fra i due partiti che formano la maggioranza di governo, M5S e Lega.

Il gran lavoro fatto nell’ultimo anno e sfociato nel salto elettorale del 26 maggio rischia di portare a Salvini solo un pugno di foglie secche, dovendo seguire i “consigli” del premier. D’altronde, Conte non poteva fare altro che quello che ha fatto: non un ultimatum ai leader dei due partiti che lo sostengono ma un brusco definitivo richiamo ai suoi due rissosi vice premier: “O svolta o mi dimetto!” evitando di indossare – almeno per ora – le vesti del “Re travicello”. Il premier si è però ben guardato dall’indicare la via maestra per rilanciare l’esecutivo (con il gradimento in calo di 4 punti per le divisioni interne, secondo il sondaggio Pagnoncelli) ed entrare nel merito delle questioni di fondo su cui i suoi due vice premier si azzuffano. Adesso bisogna vedere nei fatti, se regge e come regge, la nuova tregua fra gli alleati. Quanto tiene la ribadita “lealtà” di Di Maio che è l’”obbedisco!” obtorto collo del capo dei 5Stelle verso Salvini? E quanto tempo ha ancora Salvini senza decidere il “che fare” da grande? Non passerà molto tempo che di fronte all’esigenza di un “Sì” o di un “No” sulle importanti questioni di merito aperte si riproporranno i nodi di prima. La coperta è corta. E allora non basteranno più il buon senso e la mediazione di Conte. Un solo dato è certo: né Salvini né Di Maio vogliono assumersi la responsabilità di fare cadere il governo. L’uno spera che sia l’altro a staccare la spina, facendogli pagare il fio. Dopo le urne del 26 maggio e con l’aria che tira è Di Maio a dover fare buon viso a cattiva sorte, a smussare gli angoli, prendendo tempo. Salvini lo sa e incalza, preparando le mosse per un rimpasto di governo definito “squadra più compatta” e per una rivisitazione programmatica definita “revisione del contratto”.

Intanto il capo della Lega, nel caso che Di Maio non intenda approvare le novità che sanciscono nel governo i nuovi rapporti di forza delle urne del 26 maggio, è pronto a minare il terreno su cui l’amico-nemico leghista dovrà passare. La manovra d’autunno incombe come una clava, crocevia di come si affronta la patata bollente della “questione sociale”. Il Paese resta nel gorgo della crisi economica: gli italiani, a differenza di tutti gli altri cittadini occidentali, sono oggi più poveri rispetto a 10-15 anni fa. Le promesse, quindi, non bastano più. Fra Salvini e Di Maio la tregua c’è, ma è “tregua armata” e come tale destinata a saltare.

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