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Politica
“Il Futuro? Passa per l’Unione Europea”. Parla Sandro Rogari
Sandro Rogari - ph. sg/DEApress

I processi della globalizzazione, tra analisi storica e prospettive future. L'Unione europea, che «può e dovrebbe dare una risposta ai problemi attuali». Il confronto con Putin, che «fa gli interesi della Russia, non certo i nostri». Docente ordinario di storia contemporanea all'università di Firenze, Sandro Rogari parla con Affari Italiani.

 

Professore, la globalizzazione è un processo irreversibile?

«La globalizzazione ha una progressione costante. Ieri, oggi, o domani. E’ un processo che accompagna la storia del mondo: la scoperta dell’America è stato un primo passo, per esempio. Nel momento in cui ci è possibile viaggiare da una parte all’altra del mondo, coprendo grandi distanze in poche ore, o trasferire enormi capitali in tempo reale, la globalizzazione diviene parte della natura dell’uomo nell’età contemporanea. Una radicale inversione di tendenza sarebbe una caduta della civiltà globale».

Alcuni commentatori, però, hanno parlato del 2017 come l’anno della de-globalizzazione. Con una forte contrazione degli scambi economici in arrivo.

«Potrebbero avviarsi rapporti commerciali di carattere regionale, sì, che di per sé frazionerebbero il globo. Cioè: si creerebbero aree intercomunicanti tra loro, separate, però, da alcune barriere (barriere doganali, fiscali, ecc.), tali da evidenziare precise aree di competenza. Questo è possibile che avvenga. E già in atto, del resto: il presidente degli Stati Uniti mi pare persegua questo scopo».

Dopo la crisi del 2008 era prevedibile nascessero (o si rafforzassero) movimenti «anti-globalisti»?

«La crisi del 2008 ha accelerato processi di diffusione della povertà e concentrazione della ricchezza. E ha invertito una tendenza che si era abbastanza consolidata nella storia delle società (specie della società occidentale), perlomeno fino alla fine del XX secolo, o agli inizi del XXI. Mi riferisco alla crescita continua della ricchezza del ceto medio. Che è stato ridotto qualitativamente e quantitativamente. L’incertezza e l’insicurezza del futuro si sono fortemente diffuse. E dal momento che tutti i regimi democratici e le configurazioni dei sistemi politici si basano sul principio di stabilità, quando questo viene a mancare si originano fenomeni di tipo populista».

Cito Zygmunt Bauman, da «Dentro la Globalizzazione» (1998): lo stato singolo viene espropriato della sovranità culturale ed economica. E subisce una limitazione del potere militare. Il «sovranismo» di oggi è una reazione a questo?

«La risposta a questo tipo di problemi viene dai grandi processi di integrazione sovrastatale, come l’Unione Europea. Gli stati nazionali nei confronti della competizione globale sono deboli: la soluzione, quindi, viene dalle grandi aggregazioni di stati, contrariamente a ciò che pensano diversi leader politici. Nel mondo di oggi non è possibile restituire all’Italia, o alla Francia per dire, certi poteri. Mi spiego: se tornassimo alla sovranità monetaria, l’Italia sarebbe una piuma al vento. Esposta a condizionamenti finanziari talmente rilevanti che in confronto quelli che affossarono la lira nel 1992 sono ben poca cosa. Solo l’Euro, moneta di un grande aggregato di stati (purtroppo non ancora di governo unitario federale), può restituire e garantire un minimo di sovranità (economica e non) agli stati che lo utilizzano».

Senza l’euro, allora, ci sarebbe meno sovranità nazionale?

«Sì. Solo l’Ue, con l’integrazione derivante dall’euro, può garantire che i singoli stati – insieme - esprimano una politica estera che abbia un’incidenza. E solo l’Ue può reggere il peso di determinate spese militari per una sicurezza comune. Salvarsi nel piccolo non è possibile».

Ma l’Unione deve cambiare?

«Può e dovrebbe dare una risposta ad alcuni problemi non graditi che la globalizzazione ha portato con sé. I movimenti di protesta, forse più antieuropeisti che anti-globalisti, si sentono minacciati da una realtà nella quale non si riconoscono. Intendiamoci: hanno certamente alcuni elementi di fondatezza critica. Un vero governo federale non c’è, ma c’è, d’altra parte, un deficit democratico: commissione e consiglio europeo sono espressi da soggetti e seguono prassi che non favoriscono un rapporto di fiducia diretto con il popolo europeo. Tutto questo produce dissenso. Poi, la storia secondo cui ci sarebbe il dominio, a Bruxelles, di un fantomatico Grande Fratello finanziario è totalmente falsa. Anche perché gli interessi finanziari sono molto conflittuali tra loro. La Spectre l’ha inventata Ian Fleming e rimane confinata nei suoi libri».

E i prossimi anni, professore, come li vede?

«Le proteste di Trump sulla Nato fanno riflettere. Non è stato il primo presidente statunitense a chiedere agli europei di pagare di più (lo fece anche Nixon, per esempio, e da lui in poi diversi). Però, credo che Trump stia facendo sul serio. E a questo punto il passaggio verso un esercito europeo di difesa comune potrebbe concretizzarsi. E’ una sfida importante. E un passaggio politico decisivo».

Perché?

«Con un esercito europeo integrato diventa fondamentale avere una solida autorità politica che ne prenda il controllo. Altrimenti comanderebbero i generali, e sarebbe una dittatura».

E in tutto questo Putin come si inserisce?

«Putin cerca la divisione dell’Europa, come la cerca Trump. E’ l’unico che faccia una politica estera muscolare: segue gli interessi della federazione Russia, non certo i nostri. La Russia è uscita da uno stato di subordinazione internazionale, dettato un po’ dalla riconfigurazione del sistema economico a seguito del crollo dell’Urss, un po’ dell’accerchiamento subito dalla Nato negli ultimi anni per volere della strategia statunitense. Una politica avviata sotto Clinton che ho sempre considerato erronea. Indubbiamente, siamo di fronte a una grande potenza politica di confine, che ha recuperato, con Putin, una sorta di orgoglio. L’unico futuro per la stabilità che vedo, dunque, passa da un rafforzamento dell’Unione europea».

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