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Politica
Il governo attende il voto del 26 gennaio. Dal 27...

La Befana porta in regalo al premier Conte e ai leader dei partiti di governo e di opposizione una clessidra per scandire il tempo da qui al 26 gennaio quando si voterà in Calabria e soprattutto in Emilia Romagna. Dal 27 gennaio comincia un’altra partita, forse decisiva per il quadro immediato e futuro della politica italiana. Il fatto stesso che in una realtà da oltre 70 anni simbolo e roccaforte della sinistra il Partito Democratico faccia di tutto per togliere valenza politica nazionale al voto in Emilia e che gli stessi sondaggi dicono che il risultato è incerto (“la partita è contendibile” ha detto a Omnibus Lorenzo Pregliasco Pregliasco direttore di Youtrend) con la possibilità per il pasticciato centrodestra a trazione Salvini-Giamburrasca di un colpaccio storico, sono la cartina del tornasole dell’aria che tira nel Paese.

C’è una distanza abissale fra l’Italia del Palazzo e l’Italia reale: un solco accentuato dai trasformismi dei partiti e dalle debolezze delle rispettive leadership con relativi codazzi di apparati e signori delle tessere interessati esclusivamente alle cadreghe e agli affari. C’è un degrado dei partiti svuotati democraticamente e ridotti a centri elettorali e di potere che frena e ostacola ogni possibilità di uscita dalla crisi. La gente paga questo andazzo sulla propria pelle e, delusa e stanca, vuole dire la sua su quel che accade in Italia, non come massa manovrata nelle piazze orchestrate dai burattinai di turno o come numeri per l’audience dei soliti talk show in tv, ma nelle urne, con la scheda elettorale. Ogni occasione è buona, a cominciare dal voto del 26 gennaio.

In Emilia, forse ovunque nel Paese, non si vuole tanto premiare il centrodestra in cerca d’autore e in particolare la Lega di Salvini non ancora ripresosi dalla sbandata estiva del Papeete, quanto invece suonare l’ennesimo segnale di allarme e di malcontento più generale ben oltre il livello territoriale: un grimaldello per punire il Pd (in stallo politico ed elettorale chiuso al suo interno a riscrivere un programma di governo triennale, inutile libro dei sogni) e i suoi alleati (in primis il M5S in forte emorragia di consenso e di parlamentari), ex nemici diventati - nel classico salto della quaglia - sodali nel Governo Conte 2. Un governo che, paradossalmente, fa della propria debolezza il suo punto di forza perché la sua caduta e le conseguenti elezioni politiche anticipate confinerebbero all’opposizione i partiti della attuale maggioranza e manderebbero a casa gran parte dei loro parlamentari.

I nodi nazionali e internazionali vengono tutti al pettine. Non servono manfrine e ancor meno ipotesi di nuovi ribaltoni come quella di una ventilata prossima maggioranza “alternativa” con un governo Salvini-Berlusconi-Renzi con garante Denis Verdini. Fantasie. Non si vuol prendere atto della crisi politica, di un Parlamento non più rappresentativo del paese reale e del reale attuale peso dei singoli partiti, dell’unica via possibile da prendere: cioè confrontarsi democraticamente alla luce del sole facendo decidere agli elettori. Solo così il governo potrà godere di una autorevolezza e di una legittimazione che il Conte 2 non ha, al di là delle qualità personali del premier. Ha ancora senso resistere con l’unico collante della crociata contro il barbaro “nemico” leghista? Il rischio è che dietro al centrodestra a trazione Salvini possa maturare una destra “nostalgica”, a briglia sciolta, senza il “Capitano”. A quel punto il Paese diventa terra di nessuno. Cosa si aspetta a dire la verità agli italiani sullo “stato della fiera” mettendo nero su bianco “cinque punti cinque”: prendere o lasciare? Perché non lo fa il premier Conte, in quanto cittadino italiano?               

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