Archiviata la parola rimpasto, il Partito Democratico - forte dei risultati delle elezioni regionali - guarda avanti e si concentra a testa bassa sul lavoro nelle aule parlamentari con l'obiettivo di mettere in pratica concretamente quella svolta del fare evocata dal segretario Nicola Zingaretti subito dopo la vittoria in Puglia e in Toscana. A giorni, la prossima settimana, la revisione dei regolamenti parlamentari e l'avvio dell'iter per la riforma costituzionale che superi il bicameralismo perfetto verranno incardinati in Aula.
Il tutto con il via libera - almeno questo è l'auspicio - entro metà/fine ottobre a Montecitorio della legge elettorale proporzionale con sbarramento al 5%. L'ottica è quella di completare il taglio dei parlamentari, così come da accordo stipulato in occasione della formazione del governo Conte II e così come il Pd ha preteso e ottenuto dal Movimento 5 Stelle per appoggiare, seppur a maggioranza, la riduzione del numero degli eletti.
Parallelamente entro la metà del mese prossimo dovrebbe esserci il primo ok in Parlamento alla revisione dei famigerati decreti sicurezza dell'ex ministro dell'Interno Matteo Salvini. L'altro tema sul tavolo è l'avvio immediato dei lavori sul Recovery Plan senza perdere altro tempo, così come chiesto anche dal presidente della Repubblica. Ma per Zingaretti, che grazie al voto di toscani e pugliesi ha messo a tacere la fronda interna, oltre alle rose ci sono anche le spine.
La prima si chiama Mes. Il leader Dem continua a spingere per attivare immediatamente il Meccanismo Europeo di Stabilità, ma il premier Giuseppe Conte continua a prendere tempo perché i 5 Stelle sono divisi e litigiosi e non vuole aggiungere benzina sul fuoco. I ministri Di Maio e Patuanelli, spiegano nel Pd, potrebbero probabilmente anche accettare i 35 miliardi per la sanità italiana, ma temono che il caos e la fronda interna guidata da Alessandro Di Battista esploda ulteriormente mettendo a rischio la stessa tenuta dell'esecutivo. Zingaretti, su questo d'accordo con i renziani di Italia Viva, insiste sul Mes subito ma sa che non può porlo come ultimatum, pena l'implosione del M5S e probabilmente della maggioranza. Prima si dovranno tenere gli stati generali pentastellati nella speranza che le acque si calmino.
L'altra grande incognita, legata anche al Mes, è proprio il caos nei 5 Stelle e la lite furibonda tra Di Maio e Di Battista. Il Pd osserva attonito quanto sta accadendo, sapendo che più il ministro degli Esteri acquista peso politico, grazie soprattutto al successo del Sì, più chi non lo ama va in fibrillazione. E non è soltanto Dibba il problema, che comunque non ha che pochi parlamentari, ma tutta la pancia grillina che spesso parla e si muove in modo non coeso mettendo a rischio l'iter di molti provvedimenti.
Timori soprattutto al Senato, dove la maggioranza ha già perso uno scranno con le supplettive, e dove ci sarebbero - stando alle indiscrezioni area Dem - 15-20 senatori pentastellati sofferenti per l'eccessivo appiattimento sul Pd. Che però è anche un processo inevitabile visti i risultati elettorali e il disastro grillino da Nord a Sud. Tra i Dem è chiara l'impressione di non sapere mai chi sia l'interlocutore M5S. Un esempio su tutti: il presidente della commissione Affari costituzionali della Camera, il pentastellato Giuseppe Brescia, ha dichiarato di essere a favore delle preferenze nella nuova legge elettorale. Ok, ma il Pd si chiede: è anche la posizione di Di Maio? E Crimi sarà d'accordo? E Grillo? E Di Battista? Insomma, il caos nei 5 Stelle, per il Mes e non solo, va risolto quanto prima altrimenti quella svolta concreta chiesta da Zingaretti dopo la vittoria di Giani ed Emiliano rischia di restare sulla carta.
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