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Politica
L'odio per Matteo e il lutto della sinistra

QUALE è il peccato commesso da Matteo Renzi per aver attirato su di sé un odio così intenso? È un odio pre-politico o politico quello che lo ha così duramente investito? È l'indice di un tramonto irreversibile della sua leadership? È fondato sulla valutazione obbiettiva dei contenuti della sua azione di governo e di segretario del Pd oppure risponde a logiche più arcaiche, più viscerali, più pulsionali? Prendiamo in considerazione in particolare l'odio della sinistra che è il vero nodo della questione. Una prima considerazione generale: fa parte del suo Dna e della sua storia, anche di quella più recente, scatenare l'odio nei confronti di coloro che, dichiarandosi militanti di sinistra, osano introdurre dei cambiamenti che rischiano di minare alla base la sua identità ideologica.

L'accusa di essere un rinnegato o un traditore in questi casi scatta come la salivazione condizionata nel cane di Pavlov. La storia ci offre una miriade di esempi, antichi e più recenti. La dichiarazione di voto favorevole al Referendum del 4 dicembre è assimilabile, per chi sente di appartenere al mondo della sinistra, a un vero e proprio outing con tutti i fatali effetti di discriminazione che esso comporta. Un intellettuale lucido verso il quale provo solo stima come Tomaso Montanari esigeva eloquentemente che Pisapia facesse autocritica per aver votato Sì al fine di risultare credibile nel suo sforzo di rifondazione di un nuovo campo della sinistra.

Ma possibile che ogni atto, ogni pensiero, ogni gesto politico di Renzi sia sbagliato? Che ogni sua opzione sia divenuta contraria al bene del Paese e a quella del suo stesso partito? Non è un po' sospetto? Matteo Renzi viene identificato non come la cura, ma come la malattia della sinistra. Una infezione, un batterio, una anomalia genetica di fronte alla quale anche i dispositivi democratici che regolano la vita del Pd e che, di fatto, ratificano ogni volta la sua leadership sembrano inadeguati. La convinzione resta inscalfibile: nemmeno l'accoppiamento con un uomo chiaramente di sinistra come Martina, scelto da Renzi come suo vice, la sposta di un solo millimetro.

Proviamo a riflettere brevemente sulle origini del sentimento dell'odio. L'odio investe l'altro in quanto eterogeneo e inassimilabile. Renzi per la "sinistra sinistra" è l'incarnazione maligna di una eterogeneità che resiste ad ogni assimilazione. Le sue origini culturali e antropologiche sono differenti da quelle del vecchio gruppo dirigente del Pci che è migrato nel Pd. Un'altra cultura, un'altra sensibilità, ma anche un'altra generazione. Il fatto che questo "eterogeneo inassimilabile" sia divenuto, attraverso il legittimo voto delle primarie, il segretario del maggiore partito della sinistra italiana non è stato vissuto come il segno di un arricchimento, di una contaminazione propulsiva, di un superamento degli steccati ideologici, ma come una vera e propria usurpazione. Per questo è insistente - se non drammaticamente compulsivo - l'invito alla discussione interna sulla linea del segretario; invito chiaramente sintomatico che denuncia, a mio giudizio, proprio quel fantasma di usurpazione relativo ad una eterogeneità giudicata, appunto, originariamente e ideologicamente illegittima. Non solo bisogna infinitamente discutere sulla linea del segretario - non solo oggi che il partito è in difficoltà, ma, occorre ricordarlo, sin da quando Renzi ha acquisito legittimamente il suo incarico - , ma si deve continuare a discutere sino a quando questa eterogeneità scandalosa sarà espulsa o ridotta a una posizione minoritaria... La vera ragione di tutto questo odio è la difficoltà della vecchia sinistra di fare il lutto della sua fine storica. Più schiettamente: Renzi è colpevole di avere messo la sinistra di fronte al suo cadavere. Anziché fare il lutto della sua identità ideologica essa preferisce - come spesso accade - imputare all'eterogeno la colpa della sua morte (già avvenuta). È un fenomeno che ricorda il rito tribale di alcune popolazioni dell'Africa nera riportato da Franco Fornari nel suo celebre Psicoanalisi della guerra: di fronte alla morte insensata di un bambino, la tribù afflitta anziché incamminarsi verso la via dolorosa dell'elaborazione del lutto preferisce attribuirne la responsabilità alla popolazione confinante e ai malefici del suo sciamano dichiarandole guerra. Renzi sciamano? L'odio che lo investe vorrebbe coprire la fine di una concezione del mondo che ha nutrito l'interpretazione della storia per tutto il Novecento: la lotta di classe, una concezione etica dello Stato, l'identificazione del liberalismo e dei sui principi come Male, la gerarchia immobile del partito, la prevalenza della Causa universale sulle relazioni di cura particolari, una differenziazione paranoide del mondo in forze del Bene e in forze del Male, l'inclinazione populista e incestuosa della cosiddetta democrazia diretta, la riduzione delle politiche sociali a un maternage assistenzialista, il sospetto verso le manifestazioni della singolarità in tutte le sue forme, un paternalismo insopportabile che cancella le nuove generazioni. La morte irreversibile di questo paradigma imporrebbe un lavoro del lutto estremamente impegnativo. Molto più facile allora imputare al carattere spurio, meticcio, eterogeneo, sciamanico di Matteo Renzi la crisi del Pd e della sinistra in generale che affrontare questo immane e, in realtà, inaggirabile compito.

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renzi recalcati





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