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Politica
Lega, l'irresistibile ascesa di Salvini. Da Affari a leader della politica
LaPresse
Gianni de Felice ha una lunghissima esperienza giornalistica. Nel suo curriculum ci sono il Corriere della Sera e la Gazzetta dello Sport (di cui è stato condirettore), nonché i ruoli di docente di giornalismo e di consigliere dell'Ordine Nazionale dei Giornalisti

Matteo Salvini è ormai il protagonista della politica italiana. Guida il primo partito, la Lega, con un vantaggio di oltre dodici punti sui due lontani secondi a pari punteggio, PD e M5S. Ha la vita del governo in mano. Vastità di consensi e ubiqua onnipresenza lo mantengono sempre più vistosamente alla ribalta.

La sua irresistibile ascesa è stata certamente facilitata dalla mediocrità del panorama, mai così scarso di figure prestigiose. E certamente gli ha dato - gli sta dando - una mano la sconsiderata propensione degli avversari a demonizzarlo come fascista, razzista, nazista, secondo una tecnica boomerang che aveva già garantito a Silvio Berlusconi vent'anni di redditizio martirio. Specialmente la Sinistra non riesce a capire che in Italia l'ostilità preconcetta contro il bersaglio unico torna a tutto vantaggio della presunta vittima.

Ma al ruvido leader lombardo va comunque riconosciuto il merito di una incisività gestionale degna del Craxi dei tempi d'oro. Incisività manifestata con la scelta di queste risolutive opzioni.

Rinnovamento generazionale. Salvini ha intuito che la sopravvivenza della Lega passava innanzi tutto attraverso il rifiuto di un passato decotto. Via con gran garbo e rispetto il vecchio e malandato Bossi, suicidatosi politicamente con l'aiuto del "Trota" e di Belsito e di un provincialissimo entourage. Ma via - come leader di coalizione - anche Silvio Berlusconi, indiscutibilmente ossidato nel ruolo di taumaturgico acchiappa-voti. Tagli netti, per dare la scossa delle novità.

Rinnovamento della mission. Non più secessione del Nord, ipotesi inquietante per il Paese e di impegnativa lunghissima e molto probabilmente cruenta attuazione. Al contrario, inclusione del Centro e del Sud con l'abolizione della parola "Nord" nella ragione sociale. Salvini ha capito che era sciocco rinunciare a oltre metà del bacino elettorale. Dunque, ritaratura dei messaggi sulla dimensione di una Lega nazionale.

Identificazione e concentrazione del programma sui tre obiettivi destabilizzanti per la ideologica Sinistra: lotta alla immigrazione incontrollata protetta e difesa dal suicida PD, riduzione con la flat tax del carico fiscale protetto e difeso dalla Sinistra statalista, riforma della previdenza venerato tabù dei seguaci di Napolitano, Monti e Fornero. Massimamente ha pagato la lotta alla immigrazione, smentendo la fanfaluca degli italiani resi felici dagli sbarchi.

Nuova tattica di conquista politica: da nazionale a regionale. Salvini ha capito che passando per Roma, concentrazione nazionale di poteri istituzionali politici economici e confessionali, la Lega sarebbe stata sommersa e bloccata. Quindi ha spostato le mire sugli obiettivi regionali, separati piccoli vulnerabili e quindi più facili da conquistare singolarmente con tenaci ed efficaci azioni sul territorio. Il carciofo pappato foglia per foglia.

Nuova strategia di comunicazione. Salvini ha capito che la Sinistra controlla saldamente televisioni, radio, giornali, agenzie, università, scuola, sindacati e ha provato a bruciare tutto l'apparato di penetrazione-invasione comunicativo, by-passandolo con la nuova tecnica di comunicazione personale e diretta, via internet e social network. Idea geniale e vincente.

Non conosco Matteo Salvini. Ma riconosco ad Affaritaliani.it il merito di avere intuito le qualità politiche del giovane milanese arrivato precocemente ai banchi del Consiglio comunale e di avergli perfino affidato una rubrica sul primo giornale online italiano. Quando si dice vedere lungo.

Risponde il direttore Angelo Maria Perrino

Grazie Gianni per questo bel pezzo, un’analisi molto tempestiva, lucida e croccante, da maestro di giornalismo quale sei. Mi piace l’accostamento che fai con Bettino Craxi, che era stato una delle mie grandi passioni giornalistiche giovanili. Matteo Salvini rivela in effetti la stessa originalità ed efficacia comunicativa del leader socialista e ha dalla sua la fortuna di non dover fronteggiare due colossi immarcescibili e ostinati come la Dc e il Pci, che l’hanno poi invalidato e fatto fuori (insieme, ovviamente, con i suoi errori).

Matteo Salvini vince perché interpreta con coraggio e fierezza il buonsenso delle persone normali. Dice e propone cose ovvie, di cui si parla a tavola nelle famiglie tutti i giorni. E si sforza di essere e apparire quel che è: una persona, appunto, normale e di buon senso. Come lo si vedeva prima che diventasse ministro allo stadio di San Siro, quando attraversava tutta la tribuna in pantaloncini, infradito e maglia del Milan, con la pizza calda nel cartone.

Mi piacque subito quel ragazzone apparentemente irruento ma in realtà con un animo dolce e gentile e grande velocità di pensiero e azione e gli ho affidato nel tempo ben tre rubriche, di cui “Con Letizia” era il racconto molto insight, da consigliere comunale a Palazzo Marino, della Milano amministrata dal Centrodestra di Letizia Moratti che portò a casa l’Expo. “Arancini Padani”, subito dopo, quando divenne deputato, era il racconto delle gabole della casta politica a Montecitorio. E infine "Cavoletti di Bruxelles" era la cronaca delle contraddizioni e anomalie della casta europea. Come a dire, lo abbiamo accompagnato offrendogli una sponda in tutta la sua evoluzione e formazione politica.

Stimolandolo a esprimersi su filoni chiave, gravidi di implicazioni ancora attualissime nel dna e nel protagonismo di Matteo Salvini. Il quale peraltro non manca occasione di riconoscere il suo legame con Affaritaliani.it (“giornale che non fa sconti a nessuno”, disse recentemente, lusingandoci).

In una giornata importante per lui come quella odierna, non resta che augurargli il massimo del bene per sé e per l’Italia. Eviti le cattive compagnie, si preservi indipendente, ascolti sempre la gente e non il Palazzo. Abbiamo bisogno di giovani politici capaci di interpretare al meglio l’indispensabile e indifferibile “disruption” (discontinuità e scompiglio) di cui l’Italia ha bisogno vitale.

Che il “buon Dio”, cui egli spesso si appella, lo preservi dagli errori e lo aiuti a far bene. Con coraggio, cercando sempre la verità e il bene comune. Se si atterrà a questi consigli spassionati farà ancor di più tanta strada.

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