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Politica
Legittima difesa e diritto di uccidere: metafora della "società impermeabile"

C’è una crescente voglia di pena di morte, in Italia. Un crescente impeto alla vendetta, per così dire, “porta a porta”. Nessun fiume in piena, beninteso. Ma una carsica quanto sibillina invocazione di sicurezza “a piè di fondina”.

Ultima manifestazione di questo montante sentimento è l'iniziativa politica di Forza Italia sul diritto alla difesa. Per meglio capirci, sul “diritto ad uccidere”.

Al di là della strumentalità elettoralistica della proposta (terreno sul quale Forza Italia per la sua stessa storia è destinata ad essere annichilita dalla Lega) innescata dalla fobia della insicurezza e dal miraggio del porto sicuro dell’«arma da compagnia», la legge azzurra cozza e, per tanti versi, sovverte una moralità italica consolidata fondata sui valori cristiani e laici del “non uccidere”. Del non uccidere, MAI!

La legittima difesa commisurata all’offesa appare materiale d’archivio. È giunto il tempo della “legalizzazione” dell’omicidio. Ma forse non basta ancora: la proposta forzista, come ha ben spiegato l’on. Gelmini: “vogliamo riconoscere la difesa come un diritto vero e proprio”…”vogliamo affermare che la difesa sia sempre legittima”, mira ancora più in alto; al riconoscimento del “diritto” ad uccidere.

Lo sprint verso il far west è lanciato. Proprio dai banchi di chi, orgogliosamente (e c’è da capirlo), rivendica l’appartenenza cattolica.

Dal “non uccidere” al “diritto di uccidere”. In questo passaggio è racchiuso lo zeitgeist: la cifra del nostro tempo. Quel cambio di paradigma che travalica i confini dell’individualismo soverchiando ogni precedente scala di valori.

Paura uguale diritto di uccidere! Questo sembra essere l’asintoto. E l’esigenza (innata) alla sicurezza (personale) surclassa ogni altro valore, persino quello della persona e della vita.

Tutto il resto è accantonato: il senso di comunità, il senso del diritto, del limite, del rispetto. Tutto sacrificato sull’altare della paura. Un’aberrazione persino (e forse, soprattutto) per il dna della cultura laica.

Ed in ciò l'immigrazione appare la consueta, astuta, propagandistica "foglia di fico".

Riflettere, dibattere, accalorarsi, scontrasi su questi argomenti dovrebbe essere un imperativo morale prima ancora che culturale. Un bisogno della coscienza prima di ogni rivendicazione politica.

Eppure il silenzio regna sovrano ed accomuna molti. Tutto appare “normale”, scontato, persino, “giusto”. E quella società un tempo “liquida”, relativista, sorretta dal cosiddetto “pensiero debole”, sembra trasformarsi, a lunghe falcate, in una società “impermeabile” dominata dal pensiero greve (di un corpo infermo).

Daniele Marchetti

(Biologo, Epistemologo, specializzato in Bioetica)

Tags:
legittima difesa





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