Politica
M5S, fine corsa. Di Maio e Grillo bocciati. Governo ko dopo il voto in Emilia?
Non è tutta colpa di Luigi Di Maio se il M5S è nel caos, pur avendoci messo del suo per aver sprofondato in pochi mesi un partito politicamente sfarinato ed elettoralmente in caduta libera. Il fallimento di Di Maio quale capo di partito ed alto esponente di governo, è nei fatti. Alzi la mano chi sa che, dal 5 settembre 2019, Di Maio è niente meno che ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale dell’Italia, che dal dopoguerra ha avuto alla guida della Farnesina, fra gli altri, De Gasperi, Sforza, Segni, Fanfani, Saragat, Moro, Nenni, Rumor, Forlani, Colombo, Andreotti, De Michelis, Andreatta, Scotti, Susanna Agnelli, D’Alema, Bonino, Gentiloni. Con il Paese sempre più isolato e con una credibilità internazionale ridotta al lumicino, il Ministro degli Esteri ha disertato il recente meeting del G-20 in Giappone impegnato in Sicilia per il suo Movimento. Di Maio mostra ancora i pugni ma oramai si agita confuso all’angolo del ring mandando deboli messaggi ricattatori, indicatori di forte frustrazione: non è lui a dettare l’agenda politica, è in balia degli eventi, in fuga come ministro e come leader di partito.
Sulla spinta dello “sparigliatore” Davide Casaleggio, giovedì scorso i militanti 5 Stelle sulla piattaforma Rousseau hanno imposto le liste per le prossime elezioni regionali in Emilia-Romagna e in Calabria sconfessando – una sfiducia politica - il loro capo politico che voleva dare forfait alle urne nel timore di un’altra clamorosa batosta, dopo il ko in Umbria. Temendo l’incendio emiliano Di Maio pensava di starsene alla larga lasciando al Pd tutto il peso di difendere da solo l’ultimo suo storico fortino, come se questa fosse una partita “amichevole” e non il match in grado di decidere le sorti del campionato. Di Maio ha perso le penne ma è stato Grillo a uscirne massacrato dal voto dei militanti sulla piattaforma che così hanno bocciato la sua scelta di non presentare il M5S alle prossime regionali calabresi ed emiliane per consentire agli elettori pentastellati di votare per il candidato Pd. Bocciato Di Maio, bocciato Grillo.
Di fronte a ciò, con la base in rivolta e la dirigenza divisa, ora Di Maio ammette: “Il M5S è in difficoltà”, senza però una analisi politica sulle cause e senza indicare la via d’uscita non prendendo atto della crisi della sua leadership e della crisi più generale e profonda dei 5Stelle. Quando un leader non è più riconosciuto come tale dalla dirigenza divisa, quando viene sconfessato platealmente dalla propria base disillusa, amareggiata e umiliata, quando ogni appuntamento elettorale diventa una débacle annunciata, quando cioè non è più affidabile e credibile, non resta che prenderne atto e gettare la spugna. La crisi del M5S va, però, ben oltre la “questione Di Maio” ed è più profonda non avendo mai sciolto i nodi relativi all’identità e alla cultura politica del movimento diventato, pur nella sua anomalia, partito. Facendo le debite proporzioni, come fu per il comunismo e per i partiti comunisti pur nelle loro diversità, nel suo piccolo il M5Stelle è stato ed è in Italia la soluzione politica sbagliata a problemi politici reali: la toppa peggiore del buco.
I 5Stelle che volevano demagogicamente aprire i palazzi del potere come una scatoletta di tonno hanno dimostrato in pochi mesi nei due governi Conte, prima alleati con la Lega poi con il Pd, il proprio fallimento passando da movimento baluardo dell’antipolitica e del cambiamento a interpreti della peggiore partitocrazia e dell’arroccamento al potere. Chi pensava, dopo la fine della prima Repubblica, che il nuovo potesse essere costruito negando ai partiti identità culturali e ideali è rimasto deluso. Si è visto, nei fatti, quanto questo nuovo fosse privo di un progetto strategico su “quale Italia” dover costruire, ponesse quasi ovunque al timone, al centro e in periferia, il peggior dilettantismo collocando nullafacenti e demagoghi, covasse dentro di sé la peggior corruttela, la peggior rozzezza, la peggior cupidigia del potere. In Italia c’è da anni un processo di deformazione e di degenerazione al cui fondo c’è l’idea e la pratica della politica come potere, come affare o anche come un amministrare demotivato, depotenziato di progetti, di ideali, di finalità.
I nodi restano: la crisi economica, le disuguaglianze, la questione sociale ed ecologica, l’immigrazione clandestina legata alla sicurezza, la giustizia ecc. Nodi difficili da sciogliere, specie oggi, con una maggioranza di governo che vive alla giornata, spaccata e con i suoi tre principali partiti (M5S, Pd, Italia Viva) che non parlano il linguaggio della gente comune, dediti alla superficialità e alla demagogia, l’un contro l’altro armati per questioni di bottega e di leadership. Il M5S, da sempre il più esposto sul fronte del cambiamento mancato, ha esaurito la propria spinta propulsiva ed è entrato in una crisi irreversibile. Con quali ripercussioni sul governo? Il campo è minato, insidioso per la sopravvivenza dello stesso governo. L’esecutivo è in affanno, vive alla giornata, regge perchè Conte dimostra senso di responsabilità, pazienza ed ottimismo. Chi vivrà vedrà. Ma si è facili indovini nel prevedere che, approvata la legge finanziaria e fatte le elezioni emiliane, si aprirà una fase politica nuova in cui il caos dei 5Stelle potrà travolgere anche il governo. Conte è pronto. E Zingaretti?