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Politica
M5s-Pd, Zingaretti ha perso l'occasione di dimostrare di essere un vero capo

A quanto riferisce il Corriere della Sera, Zingaretti ha ripetuto più volte una frase che mi ronza in testa come una mosca fastidiosa: “Se Di Maio insiste non si va da nessuna parte”. Infatti disapprovo quella frase di tutto cuore. Tutto parte dal concetto di casus belli. Se il Paese A sconfina nel territorio del Paese B, e questo reagisce con una guerra, magari occupando interamente il Paese A, è quest’ultimo che è responsabile della guerra: perché ha posto in essere il casus belli

Naturalmente, nella storia, si è anche visto qualcuno far finta che il casus belli si sia verificato. Per esempio, nel 1939, Hitler pretese falsamente che la Polonia avesse aggredito la Germania. Ma qui stiamo parlando di Paesi di livello meno criminale. Ovviamente la legge del casus belli non è tutto. Contano molto i rapporti di forza. Se un Paese è sicuro che, in caso di guerra, la perderebbe, protesterà per l’invasione del territorio (come oggi l’Ucraina protesta contro la Russia per la Crimea) ma non farà altro. 

Il diritto internazionale stabilisce “in che modo le cose dovrebbero andare”, non “in che modo andranno”. Sicché il problema del casus belli vale fra Stati di peso militare comparabile: soltanto fra loro conviene vedere se sia opportuna la risposta militare. E con questo si può tornare alla situazione politica italiana. Le dichiarazioni di ieri di Di Maio costituiscono chiaramente un casus belli.

A Zingaretti basterebbe sottolineare che esse corrispondono alla richiesta di una “resa senza condizioni” per interrompere il negoziato. E a questo scopo, il primo problema da risolvere è questo: le due formazioni sono “militarmente” comparabili? La risposta sembra evidentemente positiva. Ambedue sono valutate poco sopra il venti per cento, dunque sono avversari di pari peso, come negli incontri di pugilato. Se una differenza c’è, è che il Pd ha il diritto di sperare in un aumento dei consensi, mentre il M5s deve soltanto pregare che la diminuzione dei consensi, data per scontata, non sia catastrofica.

Dunque, in caso di elezioni, avrebbe da perdere più il Movimento che il Partito Democratico. E allora che senso ha dire: “Se Di Maio insiste”? Pronunciare questa frase significa segnalare che ci si sente più deboli di lui. Dunque che, non che essere pronti a reagire oggi stesso, forse siamo pronti a subire degli affronti e prevaricazioni anche in futuro. Magari lamentandone ogni volta, ma ogni volta sperando di essere stati umiliati per l’ultima volta. 

“Se Di Maio insiste” significa: “Fino ad ora mi ha dato un pugno sul naso, ma ho paura della zuffa e, se non me ne dà un altro, mi tengo quel pugno”. Mentre sappiamo che ambedue i partiti vorrebbero formare un nuovo governo e avere il potere per i prossimi tre anni. Dunque, l’interruzione dei negoziati costerebbe alla controparte quanto e più che al Pd. Non soltanto è pessima politica ammettere la propria debolezza, quando si è deboli, ma figurarsi quando deboli non si è. Zingaretti doveva “interrompere definitivamente” i colloqui e dichiarare chiuso il tentativo. 

E poi, se lo si fosse andato a cercare a casa, scusandosi e sconfessando Di Maio, sarebbe stato tanto generoso da tornare sui suoi passi. In questo modo, invece, non soltanto si è perduta l’occasione di far vedere subito chi comanda ma anche quella di mostrare chi non è disposto a farsi comandare. Zingaretti sarà un buon capo partito, ma non ha idea di come ragionassero Giulio Cesare o Napoleone. Il grande condottiero non soltanto fa mosse coraggiose, e al limite audaci, ma soprattutto le fa con tale rapidità da lasciare sconcertato e non raramente timoroso l’avversario.

Per giunta, mentre Cesare in Gallia rischiò molte volte la pelle, Zingaretti non rischiava nulla: se il M5s ha interesse all’accordo, tornerà alla carica, anche dopo aver subito uno schiaffo. E se non tornasse alla carica, sarebbe segno che aveva già cambiato opinione. In molti casi – è il metodo seguito da Karl von Klausewitz – bisogna trattare la polemologia come si tratta l’economia. Bisogna sempre ricordare che il nostro avversario ha come primo movente quello che reputa il suo interesse.

Dunque nel campo dei segnali, delle suggestioni, della propaganda, abbiamo una libertà maggiore di quella che potremmo pensare di avere. Perché in fin dei conti ognuno preferisce allearsi con chi gli offre di più, anche se fino al giorno prima l’ha trattato da imbecille e disonesto, che con gli è stato sempre amico. Noi italiani siamo forselontani da Klausewitz ma almeno Machiavelli dovremmo conoscerlo. Zingaretti ha perso una buona occasione per dimostrare di essere un vero capo. Non mi stupirei se qualcuno, un giorno o l’altro, gli facesse le scarpe. La politica è fatta più per gli avventurieri che per gli abatini.

giannipardo1@gmail.com

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