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Politica
M5S, distruggere la Lombardi. Caso De Vito, lo zampino di Dibba e Di Maio

Distruggere Marcello De Vito per ridimensionare il potere di Roberta Lombardi. Impedire a De Vito di diventare il candidato sindaco del M5S per evitare che, nel caso di vittoria alle urne del suo uomo (politico) di riferimento e suo protégé, l’influenza della “faraona” Lombardi crescesse a dismisura offuscando dive e divetti pentastellati, dai parlamentari più in voga ai capi della Comunicazione.

Riceviamo dall'assessore allo Sport capitolino, ed ex vicesindaco di Roma, Daniele Frongia e pubblichiamo:

Egregio direttore Angelo Perrino,


in merito all'articolo pubblicato da Affaritaliani.it  in data 31 gennaio 2017 dal titolo "M5S, distruggere la Lombardi. Caso De Vito, lo zampino di Dibba e Di Maio” a firma di Marco Zonetti che riporta la frasi:


“Innanzitutto Daniele Frongia, grande accusatore – creatore, forse con Marra dietro, chi lo sa, del dossier contro De Vito”;


Io sottoscritto Daniele Frongia preciso quanto segue: la frase sopra citata  può ritenersi mero gossip. Con Marra abbiamo iniziato a parlarci solo da marzo-aprile 2016, quindi dopo la comparsa del presunto dossier di cui ignoro l'esistenza. La ricostruzione dell'articolo è avulsa dalla realtà e quindi è gravemente lesiva della mia immagine.


Chiedo quindi di voler provvedere, ai sensi dell’art. 8 legge 47/1948 e dell’art. 2 legge n. 69/1963, alla rettifica di quanto riportato nel citato articolo.

Ringraziandola,

cordiali saluti.

Daniele Frongia

**********************************
La controreplica

Daniele Frongia nega l'esistenza del "dossier De Vito", caso ora al vaglio della magistratura per denuncia dello stesso interessato Presidente dell'Assemblea Capitolina, e di aver intrattenuto rapporti con Raffaele Marra prima del marzo-aprile 2016. 
Colui che presentò Marra e Frongia, ovvero l'ex caposegreteria Salvatore Romeo, raggiunto telefonicamente e intervistato al riguardo, afferma di non ricordare precisamente quando presentò Marra all'allora consigliere comunale Frongia, ma che "è probabile sia avvenuto prima del 2016" aggiungendo che, "lavorando Frongia in comune in qualità di consigliere, e Marra in qualità di capodipartimento, è del tutto ovvio che si siano incrociati varie volte prima di quella data. Tuttavia, né confermo né smentisco che si siano conosciuti prima del 2016". 

Il sindaco di Roma è molto più importante di un ministro, figuriamoci di un deputato o di una senatrice, e di un comunicatore reduce dal Grande Fratello, seppur potentissimo sul pianeta Gaia. Un complotto ordito con cura, che non si ferma di fronte a nulla, neanche gettare fango su un collega consigliere comunale. Questo emerge dalle rivelazioni della stampa nonché dalle confessioni privatissime affidate in esclusiva ad Affaritaliani.it da un/a consigliere/a del M5S di Roma che preferisce restare anonimo.

La fonte ci racconta, in tono accorato, del suo inserimento nella chat di gruppo in cui, nel gennaio 2016, erano presenti tutti i portavoce comunali e municipali – a parte Marcello De Vito, ovviamente. Nella chat si accenna ad alcuni presunti reati commessi durante il suo mandato di consigliere comunale. “Io lessi le comunicazioni di questa chat, che presumo aperta da Daniele Frongia, con molta sorpresa e molto scetticismo, e notai la creazione di uno schieramento ben preciso, del tutto ostile a De Vito. Dalla chat era assente anche Tiziano Azzara” (ex consigliere del Primo Municipio e “pecora nera” del movimento romano, ndr).

“I principali accusatori di De Vito erano Virginia Raggi, Daniele Frongia, Enrico Stefàno, Marco Terranova (entrambi consiglieri comunali), Monica Lozzi” (ora Presidente del Settimo Municipio, quella dell’adozione del topo, tanto per intenderci, ndr) e altri.

“In questa chat si ribadiva, e si continuava a sostenere, che De Vito dovesse fare un passo indietro, ovvero rinunciare a candidarsi come sindaco. Si accennava anche al fatto che gli stessi parlamentari romani, Di Battista, Baroni, Daga, Vignaroli, Taverna, erano già al corrente della cosa e sostanzialmente d’accordo. “Il 7 gennaio 2016 ci fu una riunione a Casal Bertone in cui era garantita la presenza di tutti i portavoce nazionali, regionali, comunali e municipali.

Ma non tutti comparvero. I parlamentari diedero forfait; c’erano solo due regionali, Gianluca Perilli e Silvana DeNicolò, ed era presente anche Dario Tamburrano, deputato europeo. Erano della partita, ovviamente, Frongia, Raggi e Stefàno e De Vito, quest’ultimo con la moglie. Si inscenò una sorta di processo a De Vito, lui l’imputato e gli accusatori principali Frongia, Raggi e Stefàno, sostenuti da Terranova. Tutti i presenti erano stati ‘istigati’ da Frongia e tutti si aspettavano che De Vito venisse messo di fronte a prove schiaccianti della sua colpevolezza. La prima accusa, uscita sui giornali, fu quella di aver fatto un accesso agli atti per fini personali, per favorire un conoscente che stava ristrutturando uno stabile in via Cardinal Pacca. L’accusa era campata in aria e venne smontata subito e facilmente da De Vito. L’accesso agli atti gli era stato commissionato dalla Regione, e precisamente dall’avvocato Paolo Morricone, legale dei portavoce pentastellati. Tutto legale, tutto lecito. De Vito si scagionò senza problemi.”

“La seconda accusa è invece più grave, la prima era di abuso d’ufficio, mentre ora si parlava di falso. Si trattava di una mozione che De Vito presentò in comune ai sensi dell’articolo 58, a carattere d’urgenza quindi. L’installazione di un semaforo sotto casa sua. Ma non era questo il vero scandalo, lo scandalo – secondo i tre comunali suoi colleghi, Frongia, Raggi e Stefàno – era l’apposizione illecita di firme di altre persone per favorire il tutto. La tesi non stava in piedi, poiché la mozione era stata votata dagli stessi tre colleghi! Quindi perché accusarlo? Peraltro la mozione non era neanche farina del sacco di Marcello, ma era già stata presentata in passato… perché a quell’incrocio era morta una ragazzina di 15 anni. A quel punto, le facce di Raggi, Frongia e Stefàno iniziarono a farsi ceree.” “La terza accusa era quella che riguardava Claudio Ortale (uscita sui giornali). Utilizzando i timbretti con le firme dei comunali, in particolare quello dello capogruppo (ovvero De Vito), Ortale – rinviato a giudizio – firmava missioni, trasferte, ecc. e in questo modo pare che si sia intascato quindicimila euro. L’accusa venne ribalzata su De Vito, che però – una volta scoperto il gioco di Ortale – aveva presentato una denuncia penale contro di lui per truffa e falso.

lombardi ruocco taverna
 

Quindi non poteva essere suo complice, come lo accusavano i tre suoi colleghi. Peraltro Ortale era stato presentato ai comunali dalla deputata Federica Daga e da Enrico Stefàno che lo avevano raccomandato come persona di fiducia, quindi di cosa stavano parlando? E con questo cadeva anche la terza accusa.La quarta accusa era quella secondo cui, per quanto riguardava i canili di Roma, De Vito avesse avallato la gestione precedente - oggi messa sotto attacco dall’Anac.

Marcello invece tirò fuori una sua intervista in cui ne denunciava le mancanze. Peraltro, chi aveva difeso fino ad allora lo status quo era stato il consigliere Stefàno. Ovviamente il bacino di voti per il M5s veniva dall’ATAC, dall’AMA e quindi si coccolavano gli uffici” così ci dice il consigliere. “In questo modo” riprende la fonte, “si concludeva il processo. Ma chi erano quelli che congiuravano contro Marcello? Innanzitutto Daniele Frongia, grande accusatore – creatore, forse con Marra dietro, chi lo sa, del dossier contro De Vito.

(Segue...)

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