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Politica
M5s Roma, Raggi condannata? Già pronto il piano B che la farà restare sindaco

Il 10 novembre si avvicina inesorabile, e con quella data si appropinqua la sentenza del Tribunale sul caso di Virginia Raggi. La sindaca romana, imputata di falso in atto pubblico, potrebbe essere assolta o condannata se i giudici riconoscessero fondata l'accusa di aver mentito all’Anticorruzione capitolina riguardo alla nomina di Renato Marra, fratello del suo ex braccio destro Raffaele, a capo della direzione del Turismo.

Nella prima ipotesi, ovviamente, nulla cambierebbe; nella seconda, il mondo dell'amministrazione grillina nella Capitale finirebbe sottosopra. Già, perché - secondo il codice etico del m5s - Virginia Raggi sarebbe obbligata a dimettersi. Il codice di condotta del M5s parla chiaro: "Costituisce condotta grave e incompatibile con il mantenimento di una carica elettiva quale portavoce del Movimento la condanna, anche solo in primo grado, per qualsiasi reato commesso con dolo". Le dimissioni aprirebbero uno scenario piuttosto complesso: l'Italia è già in campagna elettorale per le Europee di maggio nelle quali sarà guerra all'ultimo voto tra il Movimento 5 Stelle e la Lega di Matteo Salvini (benché alleati di Governo). Quello stesso Matteo Salvini che non nasconde le sue mire di conquista del Campidoglio ponendo sulla poltrona di sindaco un esponente del Carroccio.

Con il Pd in crisi profonda, e il m5s danneggiato dalle dimissioni delle Raggi per un'eventuale condanna (oltre al non rapporto idilliaco di quest'ultima con una fetta sempre più ampia di cittadini romani), il Carroccio avrebbe praticamente il via libera per l'espugnazione della rocca capitolina. 

Pure, le mire di Salvini su Roma potrebbero incontrare un ostacolo determinato da uno stratagemma ordito dai grillini, e illustrato da Luca De Carolis sul Fatto Quotidiano, per salvare capra e cavoli in caso di sentenza sfavorevole da parte dei giudici. Virginia Raggi potrebbe infatti rinunciare al simbolo del m5s, e così tutti i consiglieri di maggioranza, e aggirare di conseguenza la regola delle dimissioni.

Roma sarebbe di fatto amministrata da un sindaco e da una maggioranza consiliare "sfiduciati" dal proprio partito, ma di fatto non vincolati a lasciare le redini dell'amministrazione capitolina. Resterebbe il "danno d'immagine" al m5s, certo, e ci si domanda se i romani già piuttosto contrariati (per usare un eufemismo) digerirebbero di buon grado un simile espediente, ma senz'altro sarebbe l'unica via d'uscita da parte di vertici e simpatizzanti grillini per evitare di bere l'amaro calice delle dimissioni della Raggi in campagna elettorale.  

A meno che il duo Davide Casaleggio-Luigi Di Maio, proiettato anima e corpo verso la corsa delle Elezioni Europee nella quale il nemico da battere sarà paradossalmente l'alleato di governo Salvini, altrettanto pugnace e determinato a trionfare, non decida di staccare definitivamente la spina a una Raggi condannata e premere per nuove elezioni comunali. Elezioni Comunali che si terrebbero in concomitanza con quelle Europee e che potrebbero veder candidato sindaco di Roma l'asso degli assi nella manica del m5s, ovvero Alessandro Di Battista. L'unico che potrebbe mettere i bastoni fra le ruote alla Lega nella sua marcia su Roma. 

A maggio 2019 il sindaco di Roma sarà ancora Virginia Raggi, un esponente della Lega o il Dibba nazionale reduce da un viaggio di purificazione spirituale in Guatemala? Il 10 novembre prossimo potrebbe svelarsi l'arcano diradando le nebbie che, con la spada di Damocle della sentenza dei Giudici sul caso Marra, al momento ammantano il futuro della Capitale. 

 

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