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Politica
Di Pietro: Mani Pulite 25 anni dopo

Il 17 febbraio del 1992 veniva arrestato a Milano il socialista Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio; Bettino Craxi tentò di derubricare la vicenda fuori dalla politica definendolo “un mariuolo isolato” e invece si vide che non era così ma il sistema di corruzione della cosiddetta Prima Repubblica era esteso ad ogni livello della Pubblica Amministrazione.

L’allora pool di Milano guidato da Antonio Di Pietro divenne una sorta di icona nazionale, di archetipo della giustizia che bisognava cercarla un po’ ma alla fine c’era e forse voleva dire che non sempre occorre rassegnarsi.

Date ad un uomo uno scopo e farà qualsiasi cosa.

Tuttavia un quarto di secolo dopo cosa rimane di quell’esperienza?

Ben poco, anzi nulla se è vero come è vero che il convegno allestito una settimana fa per commemorare l’avvenimento è andato malinconicamente deserto. Resta il fatto che da allora non solo nulla è cambiato ma, se è possibile, è cambiato in peggio.

La percezione della corruzione che è un parametro sociologico ugualmente importante che naturalmente è figlio più o meno legittimo della corruzione reale è cresciuta a dismisura nella pubblica opinione ed ora viene data quasi per essere la norma.

La stagione di Mani Pulite ebbe un seguito politico e Di Pietro dimessosi dalla magistratura fondò un partito, Italia dei Valori, che è stato l’antesignano del Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo.

Un partito che incanalava il populismo di allora come i Cinque Stelle incanalano il populismo di adesso ma che valse, nel momento di massimo fulgore, il 10% mentre Grillo veleggia al 30%. Tutta un’altra cosa.

IdV fu un esperimento, un laboratorio politico e istituzionale che mostrò la forza ma anche i limiti del famigerato “populismo” di cui oggi tanto si parla.

Non cambiò l’Italia anche perché ebbe sempre assai limitato accesso ai Ministeri, in pratica solo per due anni a quello delle Infrastrutture.

Italia dei Valori fallì perché fallì Di Pietro nella strategia di consolidamento ed allargamento del partito, come lui stesso ha ammesso. Fallì perché aprì ad una classe dirigente a volte gravemente compromessa con un passato non presentabile, fallì per errori commessi dallo stesso Di Pietro che non riuscì più ad intercettare l’elettorato dopo i primi scandali figli di quella parte della classe dirigente inappropriata.

Fallì, soprattutto alla fine, per una strategia comunicativa assolutamente inadeguata in cui Di Pietro fu impallinato come un tordo dalla Gabanelli su “fatti” che poi neppure furono oggetto di inchiesta.

Storia del resto che ricorda molto da vicino nei risultati mediatici quella attuale di Beppe Grillo anche se in questo caso la “classe dirigente” è assolutamente autoctona e non proviene da esperienze pregresse, ma lo “spirito” è lo stesso.

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