Massimo D'Alema e Romano Prodi: nemici dal 1998
Elezioni Politiche 2018: D'Alema e Prodi ai ferri corti
Il recente battibecco dialettico tra Massimo D’Alema e Romano Prodi fa sorridere.
Non perché non sia un fatto politico rilevante ma perché D’Alema e Prodi, semplicemente, non si possono vedere sebbene in gran profluvio di “amico” e “compagno” (tra l’altro, “che sbaglia”).
E non si possono vedere non per strane alchimie fumose nascoste nel sottobosco di chissà quali retroterra politici, ma per un fatto molto banale: D’Alema fece cadere il primo governo Prodi nel 1998 e gli soffiò il posto di Primo Ministro, senza passare per il vaglio elettorale.
Questa la nuda verità ripulita dalla crosta di buonismo e di tentativi patetici di “trattarsi bene” perché ci sono le elezioni imminenti e non bisogna dare l’idea al popolo bue di una sinistra divisa (che poi, è una nota costante storica fin dai tempi degli antichi romani).
In realtà Prodi non sopporta D’Alema proprio per quell’episodio e fare lo sgambetto a un democristiano come Romano, sua pur di sinistra, è atto temerario che difficilmente viene mondato dal cattolicesimo militante, seppur “adulto”, del professore bolognese, anzi.
Dunque ecco che Prodi dopo aver tenuto sulla corda sia Renzi che D’Alema ha calato l’asse elettorale con un chiaro endorsement a Gentiloni tramite la “sua” compagine di “Insieme”.
Quando si prospettò l’iniziativa Prodi provò a dissimulare, ma la presenza di Giuliano Santagata amico intimo e suo ministro del programma ai tempi dell’Unione parlava chiaro.
Si tratta di un ulivo piccolissimo, mignon, è vero, ma pur sempre capace di risonanze distruttive -sia per il Pd che per LeU- perché Romano Prodi è, per tutti, il vincente fondatore dell’Ulivo e mentore di una stagione in cui sconfisse due volte l’odiato cavaliere di Arcore e nessuno a sinistra e mai riuscito a far tanto.