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Politica
Renzi? Ha puntato troppo su Twitter. Errore social. Ma il suo guru Sensi...

Una domanda si aggira per l’Italia: Matteo Renzi tornerà?

Sì, ma dove era andato?

Nel senso che non risulta avere lasciato la politica come aveva promesso in un momento di esaltazione masochista pre - referendaria, salvo pentirsene subito dopo.

Le sue angosce e i suoi dubbi più o meno esistenziali sono stati intercettati da Gian Antonio Stella ieri sul supplemento “7” del Corriere della Sera, che lo mette addirittura in copertina con una   immagine dell’ex premier a metà tra il giallo e il noir.

L’occasione è un nuovo libro in cui racconta i suoi anni a Palazzo Chigi, ma senza alcuna intenzione di pentimento, come lui stesso si premunisce di dichiarare (e ti pareva).

Ma di errori, ammette ne ha commessi molti, a cominciare dalle mancate dimissioni non solo da premier ma anche da segretario, dopo la sconfitta al referendum costituzionale.

E poi, la seconda “confessione”: aver sbagliato tutto o quasi sulla comunicazione social. Avere cioè lavorato solo su Twitter che nel frattempo è scomparso e non sugli altri che sono invece aumentati di popolarità.

Ma non si era portato dietro un super esperto di comunicazione, quel Filippo Sensi, supposto guru del Web che doveva essere un valore aggiunto?

A sentire quello che dice Renzi invece il suo punto debole è stata proprio la comunicazione social e, del resto, il fallimento del referendum e in generale della comunicazione è stato ciò che l’ha perso.

E alla luce di queste considerazione neppure si capisce perché allora Filippo Sensi sia stato premiato con un posto da Deputato proprio in Toscana.

Misteri della politica e del mondo alla rovescia in cui siamo precipitati da qualche tempo.

Per un leader che voleva dare l’idea dello sprint e della giovinezza una vera e propria catastrofe comunicativa.

L’intervista prosegue con l’auto-elogio su quanto fatto, e su tutta la fuffa del “Nuovo Rinascimento” di Lan Goldin, radical chic di Oxford.

Renzi pare non aver appreso nulla dalla lezione “populista” che gli hanno impartito i cittadini, ma persevera con questi fragili miti di cartapesta, quando la gente chiede lavoro e non filosofia.

Poi la difesa del babbo, la lamentazione della perdita della privacy (e che voleva essendo un premier?), poi attacca Conte ad personam anche sul concorso che lo incorona professore universitario, poi dice che gli ha scritto messaggini di lode quando era al governo (siamo alla spiata da asilo).

Accusa Conte di essere uno ben ammanicato, ma poi non resiste alla tentazione di farci sapere che lui, grazie a Briatore, fu il primo a chiamare Donald Trump per congratularsi: “Flavio, non è che hai il numero di Donald?”.

Sul finale ritrova tutta la sua “arneità” e non resiste di nuovo alla sbruffonata finale.

Stella gli chiede se “sotto sotto spera che un giorno…” e lui lesto risponde:

“Non sotto sotto: sopra sopra”.

Lui che voleva rottamare il mondo, ad iniziare dal suo partito, e invece è stato rottamato. Lui che ha portato il populismo in politica salvo ora attaccarlo nel governo giallo - verde sta meditando il ritorno. Meditate gente meditate.

 

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