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Politica
Maurizio Martina si candida e spara banalità a raffica
Foto LaPresse

“Il sonno di Renzi genera mostri”, si potrebbe dire a proposito del Pd parafrasando il titolo di un celebre quadro di Francisco Goya.

Infatti, con la crisi del renzismo -per una sorta di selezione darwiniana alla rovescia- stanno emergendo candidature alternative che sprizzano voglia di potere da tutti i pori.

C’è l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti, con la sua aria dimessa e quasi distratta, ma che intanto passa all’incasso.

C’è Francesco Boccia, che scalpita da anni per emergere nel Pd e meno male che Carlo Calenda ha capito da solo che non c’è “trippa per gatti” ed ha annunciato che sosterrà Minniti.

E poi Nicola Zingaretti, che da anni studia per fare il segretario.

Ma la star del momento è lui, Maurizio Martina, ex ministro dell’Agricoltura ed ex segretario reggente.

Martina, l’uomo che ebbe la fortuna di fare il ministro, abbastanza casualmente, proprio sotto Matteo Renzi e che di Renzi fu dapprima oppositore come “Giovane Turco”, poi sostenitore dopo che approdò al governo e poi di nuovo oppositore durante la reggenza come segretario.

Maurizio Martina, l’uomo che sempre più inquietantemente assomiglia fisicamente al Presidente Abramo Lincoln, è in piena campagna elettorale perché ha fiutato la possibilità di farcela, il sogno covato per anni e anni.

E naturalmente è partita la retorica con il fatidico invito a “inchinarsi a militanti e iscritti”, in pieno delirio di “populismo rosso”, altro che Matteo Salvini.

E, naturalmente, Martina ha lanciato il suo proclama retorico e pleonastico da una sezione storica del Pd, quella del quartiere San Lorenzo a Roma, guarda caso dove è avvenuto il delitto di Desirée Mariottini.

Però dobbiamo segnalare una involuzione: d’estate, da segretario reggente, Martina aveva lanciato la moda del ritorno alla periferia, facendo riunioni nazionali sotto il caldo torrido a Tor Bella Monaca, periferia popolare a est della Capitale e, sebbene odorasse a chilometri di ipocrisia populista, aveva una sua ragione d’essere, perché il quartiere è un po’ il simbolo dei problemi di Roma. Ma ora ritorna l’antica furbizia, San Lorenzo, quartiere sì popolare ma alla moda ed emblema di certi radical - chic di sinistra. Certo non siamo ancora tornati alla retorica degli attici lussuosi in pieno centro storico o ai Parioli, ma, come si dice, la volpe perde il pelo ma non il vizio.

Il richiamo del potere, della ricchezza, dello sfarzo è sempre molto presente in quel partito che invece dovrebbe rappresentare gli ultimi, i poveri, i lavoratori, gli emarginati.

Ma non è solo la retorica per così dire geografica che infastidisce di questa candidatura, ma anche il contorno di solita retorica delle idee con slogan che lasciano basiti per la loro stucchevolezza:

“Ci candidiamo con una squadra che vuole pensare al futuro dell’Italia”

“Non c’è futuro per la sinistra senza una politica per tutti".

E poi la fondamentale constatazione lapalissiana che:

Con manovra Governo ha provocato procedura d'infrazione “.

Ci manca solo che Martina dica che: “non ci sono più le mezze stagioni, signora mia”

“Piove governo ladro!” e il quadro delle banalità sarebbe completo.

In questo clima desolante Matteo Renzi si lamenta in una intervista a Il Foglio:

"Poco dopo la sconfitta del 4 marzo, tutti - in primis Paolo Gentiloni e Graziano Delrio - mi hanno chiesto di fare un passo di lato e di restare fuori dalle dinamiche del Pd al prossimo congresso. Mi colpisce la mancanza di serenità nel giudizio da parte di chi dopo avere avuto tutto grazie al nostro coraggio, ora pugnala alle spalle”.

Se questo è lo stato del Pd il governo giallo-verde può dormire sonni tranquilli per anni.

 

 

 

 

 

 

 

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