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Politica
Moro, il senso di Conte per il compromesso. E Grillo che dice?
LaPresse

Sul "Fatto Quotidiano" di ieri, il premier, Giuseppe Conte, intervistato da Marco Travaglio, ha detto: “Il mio modello politico ? Aldo Moro". Moro fu tante cose, nella sua breve ma intensa vita (1916-1978), spezzata dagli spietati "uomini delle Brigate rosse" (così si rivolse a loro Papa Montini, Paolo VI, amico del sequestrato, nel tentativo, vano, di salvargli la vita). Nei primi anni 60, il dirigente dello scudocrociato avviò, vincendo le resistenze dei settori conservatori, Interni ed esterni alla DC, la collaborazione, al governo, con il Psi di Pietro Nenni.

Ma non si oppose all'attenuazione e allo svuotamento del disegno riformatore. Il "cavallo di razza" pugliese, negli anni 70, fu il politico dei rinvii e delle mediazioni. L'ex premier aprì il confronto con il PCI e poi fu l'artefice del "compromesso storico" con Berlinguer, tra le prime ragioni del suo sacrificio, che egli, con coraggio e lucidità, descrisse, vergando lettere, purtroppo non comprese dai destinatari, nella angusta cella del "carcere del popolo".

E fu il politico, che impose gli "omissis" nell'inchiesta parlamentare sulle responsabilità dei settori deviati del SID nel presunto golpe del generale De Lorenzo, poi deputato del MSI dell'ex repubblichino Almirante. Dalla prigione brigatista, Moro si rivolse al colonnello Stefano Giovannone (1921-1985), invitandolo a mediare tra i palestinesi e lo Stato italiano, affinché un gruppo di militanti delle Br fosse rilasciato e portato in Medio Oriente. Una personalità complessa, quella del leader pugliese, avversato dall'altro "cavallo di razza", Fanfani, e odiato da Andreotti, che bocciò, durante la lunga prigionia, la trattativa con i brigatisti, sollecitata dai socialisti Craxi e Mancini.

Rispettabile la stima che Giuseppe Conte ha manifestato nei confronti del suo illustre conterraneo che, a Montecitorio, nel corso del dibattito parlamentare sulle presunte responsabilità del ministro dc, Luigi Giu, arringò, con foga, i deputati dell'opposizione : "Noi non ci lasceremo processare nelle pubbliche piazze e sui giornali !".Il "niet" moroteo al "processo in piazza" era riferito a una famosissima "requisitoria", metaforica, contro il potere e la Dc, vergata dal più aggressivo e indipendente degli intellettuali italiani, Pier Paolo Pasolini, con un articolo stampato dal "Corriere della Sera" il 4 novembre 1974 (esattamente un anno prima della morte dello scrittore) e intitolato "Io So".

Poche ore dopo l'appassionata difesa di Moro, il Parlamento, in seduta congiunta, decise il rinvio a giudizio dei ministri Gui e Tanassi (PSDI). ll processo, alla Corte Costituzionale, si tenne nel 1979: Aldo Moro era già morto. Gui fu assolto, Tanassi condannato a due anni e 4 mesi di prigione. Chissà se Grillo e Di Maio condividono gli elogi a Moro, rivolti dal premier del "governo del cambiamento". Certo, molti storici ricordano l'intervento del politico pugliese, alla Camera, come un atto politico lucido, di difesa dell'autonomia della politica e dello Stato di diritto dall'assalto del populismo, delle "toghe rosse" dei "rottamatori" dell'epoca. e della "religione del sospetto"... Pietro Mancini

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