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Politica
Non è facile acquistare gli elettori. Analisi

Elettori acquistansi — Il semplice acquisto del voto dagli elettori in cambio di un modesto pagamento in contanti è una vecchia se non onorata tradizione pure in Italia—anche se la memoria comune è più attratta dalla figura de “O Comandante”, Achille Lauro, lo storico Sindaco di Napoli i cui sgherri usavano visitare uno a uno i bassi del “popolo minuto” per lasciare una sola scarpa in vista delle elezioni prossime. L’altra, si capiva, sarebbe arrivata dopo.

L’usanza, nella sua forma primitiva, è perlopiù superata in Italia, probabilmente perché —aldilà di qualche “primary”, dove il voto ha un valore palesemente modesto—gli elettori costano ormai troppo. Altrove è in pieno vigore, specialmente nell’Africa subsahariana, dov’è stata da poco oggetto di un approfondito studio Afrobarometer condotto da Jenny Guardado e Leonard Wantchekon, delle università americane di Georgetown e Princeton. I paesi considerati sono Kenia, Mali, Botswana, Uganda e Benin: con particolare attenzione alle elezioni presidenziali nell’ultimo. Secondo gli autori, l’acquisto dei voti in questi paesi è considerato una normale prassi democratica: “Per l’opinione comune, non si può vincere un’elezione senza ‘ungere qualche mano’ ed è futile tentare di immaginare diversamente”.

Funziona? Forse. Non è chiaro però perché gli elettori, una volta “comprati”, dovrebbero darsi la pena di mantenere la loro parte. Non c’è un serio controllo. In un sondaggio condotto in 34 paesi africani tra il 2011 e il 2013, i rispondenti all’81 percento erano d’accordo sulla scarsa probabilità che “persone potenti” potessero venire a sapere come si vota al seggio. Il rischio percepito per l’infedeltà elettorale è basso. La questione diventa ancora più complessa quando ci sono più partiti in gara. Un altro sondaggio tra gli elettori alle presidenziali del Benin ha trovato che il 52% avevano ricevuto la proposta d’acquisto da “due o più partiti” mentre l’altro 48% l’aveva avuto da uno solo. Eccettuando i “non so”, è l’en plein.

La ricerca di Guardado e Wantchekon indica—e non sorprende—che l’efficacia della transazione crolla quando l’offerta arriva da più parti, anche perché, semplicemente, non è possibile votarle tutte. Più in generale, nelle elezioni del Benin—con risultati di conferma anche dagli altri paesi considerati nello studio—gli autori dicono di avere trovato solo “un piccolo e impreciso rapporto” tra la mancia elettorale e il comportamento effettivo dei votanti. Il pagamento tenderebbe, è vero, a “mobilitare gli elettori”, incrementando l’affluenza degli interessati ai seggi di circa il 4,5%. I dati parrebbero indicare inoltre che gli elettori “comprati” non cedano la fedeltà in via permanente al partito acquirente. I ricercatori non scrivono che “si rivendono allegramente”, ma è difficile trarre un’altra conclusione.

Resta una domanda. Se il meccanismo non dà risultati affidabili; se, come suggeriscono i dati, i pagamenti si cancellano a vicenda; perché i politici si assumono questi costi? In parte, sarebbe che è “così che si fa”. Altri autori propongono che il pagamento sia una sorta di segnale di serietà: nessuno vuole “sprecare” il voto per un candidato così marginale da non potere premiare chi lo vota. La pratica ha comunque i suoi sostenitori, e non pochi. Sottolineano l’accresciuto senso di coinvolgimento nel processo elettorale e la maggiore partecipazione al voto. Un trionfo della democrazia popolare...

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