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Palazzi & potere
"A Parigi puoi...". Parla Lisa Ginzburg

Raccogliamo una serie di interviste a personalità italiane della cultura e dello spettacolo che abitano o comunque trascorrono parte della loro vita a Parigi. Scriveva Jean Cocteau ‘’Come i poeti, Parigi è di tutte le città del mondo la più vistosa e la più invisibile. […] Non c’è un segreto di Parigi, una Parigi segreta. Ce ne sono mille’’, cercheremo di farceli svelare di volta in volta dai nostri illustri connazionali.

Vicendevolmente è accaduto che note personalità parigine amassero Roma e altrettanto facessero letterati e artisti romani nei confronti della Ville Lumière.

La prima di queste testimonianze ha per protagonista la scrittrice Lisa Ginzburg che vive a Parigi da diversi anni e della quale nei prossimi mesi   uscirà tradotto in Francia per le Editions Verdier il romanzo ‘’Per Amore’’ con il titolo ‘’Au Pays Qui Te Ressemble’’.

 

Nell’immaginario collettivo Parigi è la ‘’festa mobile’’ di Hemingway, il luogo letterario per eccellenza in cui possa vivere uno scrittore. È solo una ‘’romanticheria letteraria’’ o è così anche per te?

È un po’ una romanticheria letteraria, nel senso che trovo altri luoghi del mondo molto più stimolanti di Parigi per la creatività espressiva. Ci sono però due ragioni che rendono la vita parigina particolarmente adatta a uno scrittore. La prima ragione è di ordine pratico: è un luogo pieno di caffè dove si può stare ore e ore a lavorare senza venire disturbati né guardati con sconcerto da nessuno (come invece accade in Italia, dove se ci si va a sedere in un bar e si resta un po’ a lungo seduti a scrivere si viene guardati come alieni). E poi perché i caffè parigini possono essere tranquilli o rumorosi, vuoti o affollati ma in ogni caso sempre ispiratori, perché pieni di storie di vita tutt’intorno, e storie che oltre a stimolare, ispirare, non disturbano, non interferiscono con quelle che si va scrivendo.

 

 

Quali sono i motivi che ti hanno spinto a lasciare l’Italia e a scegliere di vivere a Parigi?

Lavoro. Avevo vinto un concorso come direttrice di cultura di un organismo internazionale vicino all’Unesco, l’Unione Latina. Dopo due anni dal mio arrivo l’organismo ha purtroppo dovuto chiudere, per crisi di finanziamenti, e a quel punto io non avevo ulteriori energie per tornare indietro. Mi ero spostata dall’Italia (da Roma) già più che adulta, e con molte aspettative di dare una svolta alla mia vita. Così sono restata.  Poi fatti della mia vita privata, sia dolorosissimi che più felici, mi hanno convinta a continuare a restare… e insomma piano piano mi sono stabilita. Ma si è trattato di un percorso lungo, accidentato, e in ogni caso  lontano da ogni forma di personale capriccio.

 

 

A tuo avviso, quali sono le grandi differenze fra Roma e Parigi? Cosa le accomuna e che cosa, invece, le rende diverse?

Le accomuna una socialità pettegola e un po’ nevrotica, più pigra e sfilacciata nel caso di Roma, più codificata e ingombrata da etichette nel caso di Parigi. E le accomuna la presenza di un fiume, con i suoi ponti, le sue anse, le sue curve. Per il resto, io riscontro ben poche similitudini. Si  dice che siano due città “cugine”, e i cugini sono parenti curiosi, simili ma anche diversissimi, uniti ma anche spesso sottilmente molto separati, quando non nemici…

 

Cosa ami di Parigi e cosa di Roma e cosa deprechi dell’una e dell’altra capitale?

Di Parigi amo il buon funzionamento della vita quotidiana: trasporti, scuole, uffici, biblioteche, e tutto quanto si può definire welfare. E amo appunto i caffè, la vita dei caffè, e moltissimo certi arrondissements della Rive Droite. Di Roma amo i cieli, le ville, sono tornata di recente dopo diversi anni a Villa Ada: una meraviglia, le chiacchiere casuali con le persone per la strada, la vicinanza del mare.

Non mi piacciono di Parigi la spocchia della gente, i ritmi troppo veloci, la troppo alta densità umana, Sartre l’ha chiamata “la cultura dei pardon”, la prossemica negli spazi pubblici è fatta di continuo urtarsi e scusarsi, l’eccesso di geometria della griglia di strade. Ma rischio di ripetermi, ho scritto un libro su questo, Buongiorno Mezzanotte, torno a casa, Gaffi/Italo Svevo 2016.

Non mi piacciono di Roma la sporcizia, la sciatteria, la frequentissima inaffidabilità di persone e circostanze.

 

Le differenze che ravvedi tra parigini e romani nell’ambito delle abitudini quotidiane e anche in quelle che riguardano il tuo settore, editoria e cultura.

Mi è difficile rispondere perché conosco poco il mondo editoriale francese. Lo conoscerò meglio nei prossimi mesi, poiché tra qualche settimana esce per Verdier il mio romanzo ‘’Per Amore’’ con il titolo ‘’Au Pays qui te ressemble’’. Saprò dunque dirti di più tra qualche tempo!

 

 

Cosa pensi di quello che sta accadendo in Francia, a Parigi, con le rivolte dei gilet gialli?

Penso che abbiano motivi giusti nella loro rivolta, ma che i modi siano profondamente sbagliati. Spaccare macchine e vetrine e seminare il panico tra cittadini, ancora traumatizzati da attacchi terroristici la cui ferita chissà quando si rimarginerà, non è soluzione per nulla. Alcuni motivi dell’opposizione sono sacrosanti, e la politica di Macron nel suo elitarismo, è spesso insultante e avulsa dalla realtà.

 

Il presidente francese Macron perde consenso, è arrivato al tracollo, è al 25%. Che cosa ha sbagliato secondo te?

Non sa parlare alla gente, sembra non conoscere la vita, quella vera, delle strade, delle tragedie, delle persone. Ed è la stoffa umana, invece, la sola cosa che rende indimenticabile e prima ancora amabile un capo politico. Anche in una società classista e profondamente schiacciata su stereotipi sociali come quella francese, questa assenza di esperienza della concretezza della vita e uno sbilanciamento in favore del privilegio della ricchezza sono saltati agli occhi e hanno impressionato negativamente.

 

Il terrorismo islamico, gli ultimi fatti di Strasburgo, novembre 2015, Charlie Hebdo ancora prima, quanto ha influenzato in questi anni il modo di vivere dei francesi e dei parigini in particolare?

C’è paura, chiusura. Ognuno a casa sua, nell’illusione di proteggersi trincerato nel bozzolo del proprio nucleo familiare.  Un ricordo personale: pochi giorni prima dell’attentato del Bataclan, era il mio compleanno e detti una festa in casa mia, una festa da ballo, eravamo tanti, allegri, aperti, mescolati, ballammo fino alle cinque di mattina. Sembra un’altra vita: l’allegria e la libertà e la voglia di stare insieme di quella notte sono stati un commiato, perché subito dopo è arrivata un’altra epoca, che dura ancora, fatta di chiusura e solitudine e paura.

 

Salvini e Di Maio sono la risposta populista che ha preso piede in Italia e che non è ancora arrivata in Francia. Pensi che anche in Francia si arriverà a questo tipo di politica ‘’populista’’ ed esasperata?

Non saprei. Certo tra i gilets jaunes aleggiano tematiche e attitudini populiste, ma mi pare prematuro fare diagnosi in questo senso. Il senso dello Stato comunque in Francia è molto più forte che non in Italia, e questo costituisce un sano argine rispetto all’eccesso di derive populiste.

 

Un’italiana a Parigi si distingue dalle donne parigine per quali aspetti?

Dicono per ardore e calore umano e allegria e bravura in cucina… ma sono un po’ luoghi comuni. Un’italiana a Parigi nel tempo diventa identica alle parigine, si abitua agli sguardi mai ammirativi degli uomini, si abitua a sentirsi elegante e magari esserlo ma senza mai aspettarsi complimenti o galanterie.  Tutto è mentale e nevroticamente sublimato, e se le donne sono belle eleganti e felicemente femminili certo a Parigi non troveranno gratificazione per questo – o  se la troveranno sarà in forme lontanissime dalla pienezza di ciò che è immediato, spontaneo, naturale.

 

Victor Hugo definiva Parigi uno ‘’Stato’’ non una mera città. Sei d’accordo?

D’accordo con Victor Hugo, nel senso che la Francia è “capitale/centrica” in modo pazzesco, scandaloso quasi. Tutto sembra avvenire a Parigi e lì convergere, laddove invece le province sono piene di risorse, umane soprattutto, ma che restano sconosciute, invisibili.

 

In cosa ti senti francese e in cosa italiana?

Mi sento completamente italiana. Francese in nulla, tranne che sono diventata più ordinata, efficiente e metodica a forza di vivere in Francia. Quasi pignola.

 

Cucina italiana e vini italiani contro cucina francese, più in particolare cucina romana contro cucina parigina. Quale preferisci?

Nessuna delle due perché non amo la cucina romana, ma tra italiana e francese, italiana senza ombra di dubbio!

 

 

La città in cui vivi, influenza i tuoi romanzi?

Non esattamente, ma indirettamente credo di sì. La nostalgia funziona da amplificatore per l’immaginazione, la sprona a ricordare, visualizzare, mettere a fuoco paesaggi e frangenti.

 

Quanto è importante per te il viaggio?

Ho viaggiato come una forsennata negli ultimi vent’anni, nei prossimi venti spero di farlo meno… ma ho un’anima di viaggiatrice, poco da fare. Questo anche l’ho scritto in Buongiorno mezzanotte, torno a casa: quanto spostarmi, viaggiare, essere in transito mi galvanizzi e mi faccia sentire a casa. E mi stimoli nel lavoro e anche nella vita… in tutto. Viceversa esistono energie della propria personalità che possono esprimersi solo costringendosi e addestrandosi alla disciplina della sedentarietà.  Se viaggi troppo perdi il bandolo…

 

Dove hai trascorso le feste?

In Italia.

 

 

 

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