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Palazzi & potere
Caro Renzi, parlano i numeri: siamo a rischio, stritolati dal debito

Il debito pubblico, l'ormai eterna maledizione italiana, continua a crescere mentre noi ci trastulliamo con le riforme costituzionali oggetto di un referendum che impropriamente è rappresentato come la panacea di tutti i mali o, al contrario, una sciagura. Il governo si fa rimbrottare persino dal presidente emerito Napolitano, che pure l'aveva appoggiata, su una riforma elettorale micidiale e totalmente sbagliata, i cui esiti possono portare al governo, senza controlli, una formazione pur sempre di minoranza come il M5S, il che dimostra un'imperdonabile ingenuità da parte di qualcuno come Renzi, che si è sempre messo in mostra anche per la propria astuzia.
I dati Eurostat sono chiari e impietosi, nella loro freddezza burocratica. Nel primo trimestre 2016, a paragone con lo stesso periodo dell'anno precedente, la Grecia è il paese il cui debito, in rapporto al Pil, è maggiormente cresciuto, dal 170,5 al 176,3%. Ma mentre altri paesi lo hanno nel contempo notevolmente ridotto, e mentre in tutta l'UE a 28 paesi il livello è complessivamente sceso, dall'88,1 all'84,8% (con un percorso del tutto soddisfacente rispetto alle previsioni dell'odiato e vituperato Fiscal Compact), il Belpaese riesce a peggiorare, e in modo consistente, le proprie già terribili prestazioni (a tacere, per carità di patria, delle piroette sulla questione bancaria). Anziché migliorare il dato, giungiamo al record assoluto del debito pubblico calcolato al 135,4% sul Pil. E tutto questo mentre, grazie alle manovre della Bce di Draghi - che dovrebbero servire a 'comprare' tempo per fare riforme, noi, anzichè agire a livello strutturale, non ne approfittiamo e continuiamo a menare il can per l'aia. Solo grazie a Draghi si avvicinano a zero, incredibilmente e contro ogni elementare logica di mercato, gli interessi su questa spaventosa, fenomenale montagna rappresentata dal debito pubblico il che, per inciso, ha conseguenze sui risparmi degli italiani. Vengono i brividi anche solo a immaginare cosa accadrebbe in assenza del QE ideato dal presidente della BCE.
Allora cerchiamo di capirci qualcosa. Sono mesi che il premier Renzi batte i pugni sul tavolo, in tutte le sedi europee possibili, per ottenere clausole di flessibilità, e poi di flessibilità sulla flessibilità e così via, nell'interpretazione delle norme sul rientro dal deficit e dal debito. Ma a cosa dovrebbe servire tutta questa furbizia levantina, nel Renzi-pensiero? E' ovvio, essa risponde a una logica tutta keynesiana, anche se viene il dubbio che sia il solito keynesismo all'amatriciana di sempre. Non crediamo nel Fiscal Compact. Non crediamo soprattutto nella riduzione di spesa e tasse come mezzo per riavviare l'economia e ridurre per questa strada il rapporto debito-Pil. Strappiamo concessioni per ottenere il via libera per misure in deficit, perché siamo convinti che da questo derivi l'impulso per la crescita di un'economia allo stremo, in cui già si avvertono scricchiolii di un ritorno alla recessione.
Ma come mai solo noi siamo dei geni a capirlo, mentre gli altri hanno già messo in atto una crescita più o meno impetuosa, ma in ogni caso quasi tutti più alta e più stabile della nostra? E sono gli stessi 'fessacchiotti' che hanno portato a termine quella dura spending review che noi evitiamo come la rogna da anni, facendo finta di averla realizzata.
Non sappiamo dire quando, non possiamo dire la data con precisione. Ma se non cambiamo rotta, e seriamente, arriverà un momento in cui ci vanteremo di avere scansato, con furbizia renzianissima (che in quel momento potrà portare un altro nome: chessò, Di Maio, o un nuovo signor 'tecnico'?) le sanzioni normative della perfida Europa. E un momento dopo andiamo a sbattere contro le sanzioni della realtà. Saranno dolori. E il gufo abita a Palazzo Chigi.
 

Andrea Bernaudo

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