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Palazzi & potere
Cavallaro, CISAL: attuare la Costituzione per fare del Lavoro un Diritto

Dalle recenti esternazioni di Tito Boeri su INPS, immigrazione e mondo del lavoro, alle ombre lunghe delle strategie pre-elettorali sulla prossima legge di bilancio, dalla minaccia di modifica dell’articolo 38 della Costituzione a tutto svantaggio delle prestazioni previdenziali, alle polemiche legate all’istituzione per legge di un salario minimo garantito, viene alimentata negli italiani una incertezza sempre più profonda sul fronte di fisco, previdenza, welfare ed equità sociale. Con effetti critici sul lavoro, conferma il Segretario Generale della CISAL, Francesco Cavallaro, sulle condizioni dei lavoratori e sul fronte delle relazioni sindacali.

R.- Segretario, condivide l’esortazione, recentemente espressa da autorevoli rappresentanti dei lavoratori, a un radicale cambiamento del sindacato pena la sua inesistenza?

D.: La dichiarazione è condivisibile sia nella misura in cui richiama, costruttivamente, la necessaria evoluzione del mondo sindacale nella direzione delle nuove, impegnative sfide del mondo del lavoro, sia qualora investa il sindacalismo non autonomo per spingerlo ad assumere posizioni lontane dalla politica e vicine esclusivamente ai lavoratori. Posizioni che rispecchiano l’autonomia dalle ideologie e dai partiti che è patrimonio della CISAL fin dalle sue origini, nel 1957.

La CISAL da anni sostiene la necessità, nel quadro di un coraggioso recupero di coerenza con il disegno strategico tracciato dal nostro Legislatore Costituente, di una decisa svolta che garantisca al lavoro e ai lavoratori un ruolo effettivamente paritario rispetto alle altre componenti economiche, e non solo, della società. Ovviamente sul piano dei diritti e dei doveri, del potere e delle responsabilità.

D. E’ quanto dichiarato dalla CISAL anche nella recente audizione presso la Commissione Lavoro Pubblico/privato in materia di minimi salariali.

R. Certamente, sebbene, va precisato, l’audizione in questione fosse “informale”. Una qualificazione quanto meno ambigua circa le sue reali finalità. Oggetto della convocazione, l’eventuale fissazione di minimi contrattuali per legge. La CISAL, pur dichiarandosi non pregiudizialmente contraria, ha richiamato l’attenzione del legislatore ordinario sull’intero Titolo III della Costituzione che, oltre all’art. 36 in discussione, non a caso va dall’art. 35 al 47 e si occupa dei Rapporti Economici nelle sue varie articolazioni, tracciando, appunto, a completamento dell’identità della nostra “Repubblica (politicamente) democratica fondata sul lavoro”, i presupposti di democrazia economica (art. 46) e di democrazia sindacale (art. 39).

D.- Quindi, a suo parere le cause delle ricorrenti crisi del Paese vanno ricercate a monte, nella mancata realizzazione di una società di tipo partecipativo.

R.- Quel che è certo è che il legislatore ordinario, nei settanta anni di vigenza della nostra Costituzione, non attuandone in toto le cosiddette norme programmatiche, ha di fatto impedito a questo Paese di sperimentare le potenzialità socio economiche proprie del modello partecipativo. Un modello, cioè, fondato sulla pari dignità lavoro/capitale, capace di valorizzarne le rispettive risorse economico/produttive anche attraverso la crescente fidelizzazione del la voratore all’azienda, della cui gestione si senta parte e ne avverta la responsabilità.

D.- In questo caso, anche le relazioni sindacali avrebbero avuto sviluppi diversi?

R.- Il tema della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, unitamente all’attuazione dell’art. 39, ha da sempre rappresentato per la CISAL il punto di arrivo di un processo di relazioni industriali che avrebbe dovuto trovare piena attuazione nel nostro Paese, proprio in forza del chiaro e lungimirante disegno del legislatore costituente. Processo, invece, che non è mai seriamente decollato anche a causa dei noti ostacoli riconducibili alla storica commistione di ruoli partiti/sindacati (dalle cinghie di trasmissione, ai consociativismi di vario genere). Non ci sono dubbi che un Sindacato “senza aggettivi”, quindi autonomo per definizione, avrebbe non solo perseguito, ma accompagnato e sostenuto quel processo attraverso il superamento di posizioni pregiudizialmente conflittuali, la valorizzazione della contrattazione a tutti i livelli, l’esplicito riconoscimento di pari dignità fra le parti ed il pieno coinvolgimento del lavoratore, non più confinato in una sorta di minorità per tabulas, ma garantito da adeguate, corrette e continue informazioni.

D.- Segretario Cavallaro, ci sono problemi che, al di là delle strumentalizzazioni elettorali, sono comunque incombenti e figurano in termini più o meno chiari nelle agende politiche dei partiti e dello stesso Governo. Dalla riduzione delle tasse ai rapporti con la UE, dall’evasione fiscale alla crescente corruzione, dalla Riforma della PA al rinnovo dei contratti pubblici, dalle contraddizioni del sistema previdenziale all’angosciante tasso di disoccupazione giovanile.

R.- Un Paese con il debito pubblico al 133% non può permettersi di tollerare oltre un’evasione fiscale e contributiva che sfiora i 170 miliardi annui. Urge una riforma radicale che responsabilizzi il contribuente onesto attribuendogli la funzione di primo controllore della correttezza fiscale attraverso il cosiddetto “contrasto di interessi”. La CISAL ha proposto si registrare ogni spesa attraverso un badge elettronico, per poterla dedurre in tutto o in parte in sede di dichiarazione dei redditi.

D.- Cosa pensa dell’ipotesi di riduzione delle tasse utilizzando la leva della flessibilità massima del deficit al 2,9% per 5 anni?

R.- Chiunque è in grado di distinguere tra un debito utilizzato per trascorrere vacanze da nababbi e un debito contratto per finanziare un progetto affidabile di innovazione competitiva che crei, utilizzi e valorizzi il lavoro. Si tratta quindi di un problema di credibilità. Al momento, proprio per le considerazioni fatte in premessa, finanziare in deficit una pur necessaria riduzione delle tasse (IRPEF e cuneo fiscale in particolare) finalizzata non solo alla ripresa dei consumi, ma soprattutto a un piano di investimenti produttivi di lavoro e occupazione, specie giovanile, presuppone che a chiederlo sia un Paese unito nello scopo e determinato negli obiettivi, un Paese che tutti vorremmo, forse, ma che ancora non c’è. Purtroppo.

D.: Tra le tante aspettative degli italiani che rischiano di essere deluse, sul fronte previdenziale pesa la minaccia di aumento dell’età pensionabile.

R.: I fattori che minano la serenità degli italiani sono numerosi. L’ipotesi di innalzamento dell’età pensionabile in modo indiscriminato, certificata dall’Istat a prescindere dall’effettiva aspettativa di vita di ciascun lavoratore, penalizzerebbe chi statisticamente vive meno – addetti a lavori gravosi, per esempio - a favore di chi, per condizioni di lavoro meno stressanti, ha una maggiore speranza di vita. Il che andrebbe ad aggravare gli effetti del calcolo contributivo, in contrasto con la posizione della Corte Costituzionale che assume quale parametro per il calcolo della pensione la retribuzione percepita in passato dal lavoratore. A ciò si sommano la stasi delle retribuzioni e quindi dei montanti contributivi, il criterio adottato di rivalutazione dei contributi sganciati dal parametro dell’inflazione, il mancato decollo della previdenza complementare, che presenta un evidente profilo d’incostituzionalità derivante dalla differenza di normativa tra lavoratori pubblici e privati, e altro ancora.

D.: L’INPS, a detta del suo Presidente, dovrebbe cambiar nome, diventando Istituto Nazionale della Protezione, anziché della Previdenza, Sociale. Cosa ne pensa?

R.: La richiesta mi sembra faccia il paio con una proposta di legge intesa a modificare il quarto comma dell’art. 38 della Costituzione. Al di là di ogni disquisizione tecnico giuridica, il problema vero è che continua in modo strisciante e ambiguo il tentativo di “costituzionalizzare” la confusione, purtroppo già in atto, tra previdenza ed assistenza e, a monte, tra cittadini e lavoratori. Lo ritengo estremamente scorretto, oltre che in netto contrasto con l’art. 53 della Costituzione (tutti sono tenuti a pagare le tasse), con l’art.1 (Repubblica democratica fondata sul lavoro), con l’art. 38, 2° comma (diritto dei lavoratori alla previdenza ai cui costi provvedono essi stessi nell’ambito del rapporto di lavoro). Mi fermo qui, ribadendo quanto da sempre sostenuto dalla CISAL: la previdenza è a completo carico del mondo del lavoro che la finanzia con i propri mezzi  (retribuzione differita); l’assistenza, fondata sui principi inviolabili della solidarietà, è a completo carico della fiscalità generale e non surrettiziamente a carico dei soli lavoratori.

D.: A proposito di confusioni, cosa ne pensa dei ritardi della PA nei pagamenti dei suoi creditori, cittadini o imprese?

R.: Nonostante la fatturazione elettronica sembri funzionare, essa non ha azzerato i tempi di pagamento della PA. Oltre all’intuibile danno per le imprese (si parla di decine di miliardi di crediti), mi sovviene un esempio tipico del comportamento dello Stato nei confronti dei cittadini. Mi riferisco alla legge 2/3/2001 n.89, la cosiddetta legge Pinto (indennizzo dei ricorrenti per danni loro procurati dalla irragionevole durata del giudizio). Ebbene, nonostante sentenze definitive di condanna dello Stato, passano anni, con richieste burocratiche di ogni genere, prima che gli interessati riescano a ricevere l’indennizzo che, in genere, peraltro, ammonta a poco più di mille euro! Va segnalata, inoltre, sempre in tema di correttezza, l’assurda disposizione legislativa che posticipa, appunto per legge, il pagamento del TFR/TFS in due o tre tranche nell’arco di 6, 12 o 18 mesi. Incredibile, ma vero.

D.: Altro punto dolente, il rinnovo dei contratti dei pubblici dipendenti. A che punto siamo dopo l’Atto di indirizzo del Ministro Madia?

R.: Si tratta di una vicenda che coinvolge un’intera categoria: oltre tre milioni di lavoratori hanno il “privilegio” di avere come datore di lavoro lo Stato e le sue massime istituzioni e sono privi di contratto da circa nove anni! Una vicenda che ha costretto il sindacato, compresa la nostra FIALP-CISAL, a rivolgersi alla suprema Corte che ha condannato lo Stato ad adempiere, ma (con una chiara novità ad usum delphini), non riconoscendo la pur legittima retroattività alla scadenza naturale dell’ultimo contratto 2009), ha fissato la decorrenza alla data dalla sentenza del 2015.  Nel merito, va detto che l’Atto di indirizzo finalmente emanato dalla Ministro, oltre che complesso e complicato (ben 18 pagine evidentemente in ossequio alla conclamata semplificazione!), rappresenta una doccia fredda per l’intera categoria in termini certamente economici con i circa 85 euro medi lordi pro capite, a regime, ma anche normativi per effetto soprattutto della forzosa riduzione a quattro dei Comparti, nell’ambito dei quali sopravvivono differenze notevoli sotto il profilo economico, ordinamentale e funzionale. La CISAL con le proprie Federazioni trattanti, ovviamente, non si sottrarrà al confronto perseguendo con ogni mezzo l’obiettivo della legittima salvaguardia dei diritti, degli interessi e, soprattutto, della dignità dei lavoratori pubblici, pronti, ad avviso della CISAL, a confermare la loro piena assunzione di responsabilità nell’esercizio delle essenziali funzioni pubbliche al servizio dei cittadini e delle imprese.

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