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Palazzi & potere
Def, non è un problema di sforamento ma bensì di destinazione delle risorse

Certo, non c'è dubbio che sarebbe stato molto meglio se nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (Def) fosse stato previsto dal ministro Tria e ratificato dal governo legastellato un rapporto debito/pil dell'1,4% che non del 2,4%, scrive Pierluigi Magnaschi su Italia Oggi. Ma non è certo il caso di dar fuoco alle polveri della polemica come hanno fatto l'ex segretario del Pd ed ex premier Matteo Renzi e Pietro Carlo Padoan che è stato ministro dell'economia dei governi Renzi e Gentiloni dal febbraio 2014 al giugno 2018.

Renzi, stracciandosi le vesti, ha parlato di «manovra devastante» mentre Padoan ha ipotizzato addirittura il rischio della bancarotta. Se i due fossero stati degli amministratori sparagnini della casse dello Stato, le loro denunce sarebbero risultate credibili. I due invece (assieme a Gentiloni, che però, almeno, è stato molto più cauto nel protestare) non solo hanno continuato a far crescere il debito pubblico ma hanno anche sfondato, in modo fraudolento, il rapporto debito/pil, promettendo agli italiani e a Bruxelles di contenerlo a un livello virtuoso e poi sfondandolo ogni volta per ben tre anni consecutivi.

Passiamo alle date e alle cifre. Nella Nota di aggiornamento al Def approvata nel settembre del 2014 per il 2015 (la stessa sulla quale in questi giorni è stato sollevato il polverone) il governo Renzi aveva solennemente promesso a Bruxelles che avrebbe messo a punto un rapporto debito/pil pari al 2,2%. A consuntivo, certificato ufficialmente dall'Istat, il rapporto anziché essere del 2,2% è stato del 2,6% con uno sforamento di 6,4 miliardi di euro.

A dimostrazione che non si trattò di un incidente ma di un trucco, anche l'anno successivo venne replicato l'imbroglio. Il governo italiano di centrosinistra si impegnò con la Commissione europea di realizzare un rapporto debito/pil dell'1,8% che però, anche in questo caso e sempre a consuntivo ufficiale, si rivelò essere del 2,4% con un buco, questa volta, di 9,6 miliardi di euro.

Nel terzo anno consecutivo, incuranti di aver già preso per i fondelli la Commissione di Bruxelles per due anni di seguito, il governo di centrosinistra promise e venne creduto, come se niente fosse, un rapporto deficit/pil dell'1,6% che venne invece consuntivato addirittura al 2,3% con un buco clamoroso di 11,2 miliardi. E ciò avvenne senza che nel paese si sollevasse neanche un refolo di proteste. Anche le autorità di controllo come la Ragioneria dello stato che un autorevole commentatore, nell'entusiasmo, ha definito addirittura come «un organo costituzionale» visto che, come ha spiegato, deve sovrintendere al rispetto di norme previste dalla Costituzione, e che adesso si lamenta di non essere posta nella condizioni di svolgere serenamente il suo lavoro di contenimento degli eccessi di spesa, hanno le loro belle responsabilità se ci siamo spiaggiati. Ma se in passato la Ragioneria generale dello Stato avesse svolto la sua funzione definita oggi come sacerdotale, a difesa delle risorse degli italiani, come mai (e non mi riferisco certo al solo Ragioniere dello stato in carica ma anche a tutti gli altri che lo hanno preceduto) come mai allora, dicevo, il debito pubblico italiano ha raggiunto i 2.300 miliardi di euro e il rapporto debito/pil anziché essere al 60% (come la Ue, esagerando un po', indica come quello ottimale) ha raggiunto il 132%?

Se c'è stata distrazione, vuol dire che essa è stata costante e ininterrotta. E quindi non può essere definita come tale ma deve essere chiamata una cronica incapacità di contenere la spesa pubblica di fronte alla cui inesorabile crescita nessuno, ai vari livelli, ha voluto porre rimedio, in dispregio al dettato costituzionale che avrebbe dovuto essere un imperativo anche prima dei ritocchi apportati alla Carta sulla spinta della Ue.

Sul piano dello sforamento (non condivisibile, ripeto), calma e gesso quindi. Il governo lega-stellato infatti ha ripetuto pedissequamente il copione irresponsabile gestito da quasi tutti i governi precedenti, non solo di centrosinistra, intendiamoci bene. Ciò che invece dovrebbe preoccupare, e preoccupare fortemente, non è lo sforamento ma la destinazione delle risorse rese disponibili dallo sforamento stesso e il contesto ideologico-programmatico portato avanti dai pentastellati dei quali il reddito di cittadinanza è solo una tessera. Quest'ultimo, di 780 euro al mese, è stato promesso dai grillini e voracemente atteso dal Mezzogiorno che lo aspetta come la manna.

Questo assegno però è del metadone, se non si vuol parlare di droga. Chi è senza lavoro nel Sud, non si sposterà, non dico per andare al Nord (com'è capitato e sta capitando ancora) ma non si sposterà nemmeno per accettare un lavoro a 30 chilometri di distanza. Non mi riferisco certamente a tutti ma parlo di un giovane che non ha voglia di impegnarsi; e ce ne sono tanti, di giovani di questo tipo, sia al Sud che al Nord. Perché un giovane di questo tipo dovrebbe accettare di andare a lavorare in una città anche vicina per un salario di 1.300 euro al mese quando, stando a casa, avendo magari un'abitazione dei parenti, potendo fare dei lavori in nero, disponendo spesso di un orto di famiglia, può prendere 780 euro?

Questa misura fa nascere una nuova professione, quella del «mantenuto di cittadinanza» che finirebbe per creare degli zombie e che sarebbe un danno per quasi tutti coloro che lo percepissero. L'idea che tale assegno sia accompagnato da misure di formazione professionale e di controllo contro gli abusi fa parte degli impegni che già si sa che non saranno mantenuti.

Queste misure poi si inseriscono in un contesto governativo (solo pentastellato) che, nei fatti, non crede negli investimenti che sono i soli a essere in grado, attraverso l'aumento della produttività del sistema, di assorbire le maggiori spese, diciamo sociali, che sono state varate e che si annuncia che lo saranno sempre più. I pentastellati infatti sono programmaticamente contro le grandi opere pubbliche. Gira ancora sul web una intemerata di Beppe Grillo che, ancora prima che l'Expo venisse varata, davanti a una targa stradale di Rho gridava: «Ma che cosa vogliono fare questi babbei di Rho? Rho che cos'è? Chi lo conosce? È il buco del mondo. Il buco dove gettare i soldi che si vogliono sprecare!». Si è visto cos'è successo e come, non solo Milano ma l'intera Italia settentrionale (oltre che il made in Italy nel suo complesso) siano state rivitalizzate dall'Expo con una spinta che non è ancora cessata a tanti anni di distanza anzi che ormai si autoalimenta.

E cosa dire del corridoio ferroviario Genova-Pianura padana che è in corso di costruzione? Non si deve fare! E lo stadio di calcio di Roma (già efficacemente predisposto in tutti i suoi dettagli urbanistici e amministrativi dalla giunta Marino) che è stato gettato alle ortiche anche se questa struttura avrebbe creato molti posti di lavoro e avrebbe reso anche soldi al Comune, anziché costarne? E così è capitato per le Olimpiadi delle nevi a Torino (una città che è uscita dalla crisi della Fiat solo proprio grazie alle precedenti Olimpiadi della neve). Anche in questo caso, l'M5s ha imposto al suo sindaco Chiara Appendino di lasciar cadere il tutto.

Il M5s è infatti, dice, per la decrescita felice. Che sia facile organizzare la decrescita è vero. Anzi è così facile che, una volta innescata, è molto difficile innestare la retromarcia. Inoltre che dalla decrescita derivi la felicità è contro la storia e il buon senso. Basti vedere com'è ridotto il Venezuela che pure galleggia su giacimenti di petrolio immensi ma che ha costretto all'indigenza e alla fame gran parte delle sua popolazione. La decrescita è facile. La crescita è un progetto molto più complesso e difficile, frutto di azioni che non si improvvisano ma che si debbono perseguire e costruire

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