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Palazzi & potere
Europa: il leghista che ragiona con le scarpe è un vero danno per l'Italia
SCHIAFFO 5 - Angelo Ciocca, europarlamentare della Lega. La sceneggiata della scarpa l'ha reso più famoso. Ma le persone intelligenti che credevano in lui e, soprattutto, i vertici del partito non hanno gradito molto...

Ci sono molti e motivati argomenti che si possono usare polemicamente contro la politica espressa dalla Commissione europea e contro la Ue stessa. Ma il metodo utilizzato martedì scorso dall'europarlamentare leghista Angelo Ciocca, scrive Pierluigi Magnaschi su Italia Oggi, è il peggiore che si potesse utilizzare. Stando a quest'ultimo episodio, il senatore Antonio Razzi, rispetto a Ciocca, fa la figura dello statista gallonato. Non avrei mai pensato che sarebbe stato possibile. L'episodio di Ciocca è noto ma merita di essere ricordato. Il commissario europeo agli affari economici Pierre Moscovici, aveva appena finito di esporre, in una conferenza stampa ufficiale a Strasburgo, i motivi per cui la Commissione europea aveva rinviato al governo italiano la bozza di manovra finanziaria invitandolo a rivederla nei punti più qualificanti, quando l'europarlamentare italiano Ciocca, forte del suo ruolo che lo abilita a tutti gli accessi, è salito sul palco, ha preso i fogli della relazione di Moscovici, li ha stesi accuratamente sulla lunga scrivania e poi ci ha passato su una scarpa, girandola scrupolosamente su se stessa come se fosse un cavatappi. A dimostrazione che lui di quei fogli e di quei conti se ne faceva un baffo, diciamo così.

Non contento della mascalzonata (che è tale, non nelle motivazioni, ripeto, ma nei modi) Ciocca ha anche chiarito, con ilare disinvoltura, che la scarpa da lui usata era «rigorosamente Made in Italy, fatta a Vigevano». In tal modo, oltre a sputtanare a livello continentale la sua forza politica, la Lega di Salvini, e il governo di cui essa fa parte, ha infangato anche il Made in Italy. Il messaggio infatti è chiaro. E solo Ciocca può non averlo capito. Se le scarpe Made in Italy, simbolo ovunque di squisita eleganza e di alta distinzione, servono a un bisonte per scassinare le regole di base della convivenza civile a livello europeo, allora le scarpe Made in Italy vengono immediatamente declassate, nell'immaginario collettivo globale, a livello spazzatura. Cioè diventano subito l'opposto di ciò che esse meritatamente sono e vogliono essere.

Leghisti e pentastellati, si sa, sono polemici nei confronti dell'Unione europea. Ma loro stessi si sono resi conto che nei confronti di Buxelles bisogna, se si vuole, essere implacabili ma anche rigorosi, rispettare la forma ed evitare gli eccessi piazzaioli. Trattando a questo livello, non si parla solo con la tecnostruttura comunitaria ma anche con i rappresentanti politici (e democraticamente eletti, se si vuol evidenziare questo punto) dei 27 paesi che fanno parte della Ue e che sono soliti, quando discutono fra di loro, a non mettersi le dita nel naso e a non fare rutti sguaiati o fragorose flatulenze.

È una questione di stile e di limiti autoimposti (che poi sono solo quelli della buona educazione). L'Italia, riscattando un passato miserevole e indecente, si è faticosamente imposta all'attenzione degli altri componenti della Comunità europea con dei grand commis autorevoli e straordinari come il presidente della Banca centrale europea, Bce, Mario Draghi, che, proprio per la sua caratura simbolica, oltre che intellettuale, è riuscito a imporre le sue idee molto avversate soprattutto dai tedeschi ma che poi si sono rivelate provvidenziali per tutti come il Quantitative easing. O con ministri delle finanze come Tommaso Padoa Schioppa prima, e Pier Carlo Padoan, più recentemente.

Ricordo di aver visto Padoan in una tavola rotonda fra alcuni ministri di grandi paesi, organizzata da Cnbc negli Usa, a margine di un vertice del Fondo monetario internazionale. Di solito, gli italiani, in questi contesti, facevano la figura dell'uccellino bagnato e infreddolito. Invece Padoan era seguito con grande attenzione e rispetto dai suoi colleghi che non sono abituati a fare sconti a nessuno. E questo avveniva, non perché Padoan brandiva una scarpa made in Italy e nemmeno una meno aggressiva ciabatta acquistata su Amazon ma perché dimostrava di conoscere gli avvenimenti e di saperli spiegare, in un inglese impeccabile, con addirittura un accento bostoniano con il quale gli altri interlocutori si sentivano visibilmente a loro agio.

L'Italia, per guadagnarsi questa immagine e questa credibilità (che poi si può mettere al servizio di qualsiasi idea politica, anche quella del governo pentaleghista), ha dovuto faticare molto perché partiva da posizioni mediamente molto arretrate e, alle volte, addirittura impresentabili. Nella seconda metà dagli anni Sessanta questa situazione ho potuto toccarla con mano. Usufruì infatti di una breve borsa di studio a Bruxelles. Ed ebbi modo di constatare che gli italiani, nel Mec, contavano come un fico secco. Un po' perché avevamo ancora sulle spalle il peso di una guerra persa dal fascismo che, assieme al nazismo, l'aveva fatta scoppiare. Un po' perché l'Italia, dovendosi leccare le ferite della distruzione del suo apparato produttivo, era concentrata a ricostruire un paese in macerie.

E un po' perché essendo un paese allora vetero-rurale non aveva un personale con orizzonti internazionali (l'Erasmus era ben al di là dal vedere la luce) ma aderiva all'idea dell'Europa unita per la sola speranza che essa consentisse di impedire che, sul Vecchio continente, scoppiassero altre guerre di cui peraltro si avevano sotto gli occhi le conseguenze devastanti. L'Italia derelitta mandava in Europa dei derelitti (a parte alcune figure di spicco, poche ma grandi). A quei tempi infatti, mentre i francesi (e i loro paesi amici e vassalli in Europa) si accaparravano le direzioni generali del Mec, gli italiani, anche per le spinte microclientelari alimentate dalla Dc in Italia, sistemavano a Bruxelles soprattutto fattorini, autisti, impiegati claudicanti nelle lingue e interpreti. Cioè irrilevante manovalanza.

Da allora, piano piano, con lo sforzo di molti, l'Italia è riuscita a ritagliarsi nella Ue uno spazio quanto meno di rispetto e di ascolto. Certo, si potrebbe fare di più. E mi auguro che lo si faccia. Ma non brandendo delle scarpe. Il gesto di Ciocca invece rischia di riportare l'Italia alla passata immagine del paese un po' troglodita dei fiaschi impagliati. Mentre l'Italia, che in Europa è il secondo paese manifatturiero, spesso nei settori tecnologicamente di punta, ha bisogno che non la rappresentino gente come Ciocca. Che con le loro mattane infatti la riportano indietro nei tempi assurdi in cui eravamo vissuti come quelli che portavano l'osso nel naso.

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