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Palazzi & potere
Gilet gialli: hanno fatto saltare i nervi a Macron che se la prende con noi
LaPresse

La Francia di Macron ha deciso di richiamare il suo ambasciatore in Italia per consultazioni «alla luce di una situazione senza precedenti». È inutile girarci attorno, scrive Pierluigi Magnaschi su Italia Oggi, l'episodio che ha fatto saltare la mosca al naso di Macron (che è molto suscettibile, quando si tratta di difendere i suoi interessi o anche solo i suoi punti di vista) è l'incontro che si è svolto martedì scorso fra il vicepremier Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista con il leader dei gilet gialli francesi Chistophe Chalencon. L'incontro non sembra sia stato molto fruttuoso per gli M5s ma esso ha anche consentito ai grillini di annunciare che ci sarà un nuovo meeting nelle prossime settimane a Roma. Macron non sottolinea soltanto che «le ultime ingerenze costituiscono una violazione supplementare e inaccettabile» ma, sia pure per il rotto della cuffia, il ministro degli esteri francesi che è il suo docile ventriloquo ammette, sia pure a bocca stretta, che «avere dei disaccordi è una cosa, strumentalizzare i rapporti a fini elettorali è un'altra».

Noi non difendiamo l'M5s ma difendiamo vibratamente il suo diritto di fare in Europa la politica che il suo Movimento ritiene sia più efficace e che da esso è giudicata più fruttuosa. Siamo infatti stupiti (sarebbe meglio dire indignati, ma, visto che c'è già uno che strilla, non vale la pena che alziamo la voce anche noi, bastano i fatti) siamo stupiti, dicevo, dalla reazione isterica e spropositata di Macron che si comporta (ma ancora per quanto?) come se fosse la madre superiore dei collegiali italiani che, se non ubbidiscono subito alle sue strigliate, possono anche essere sculacciati in pubblico.

La posizione di ItaliaOggi è molto critica, e non da oggi, nei confronti delle proposte di politica economica del M5s che, in un periodo di recessione, arriva a proporre di bloccare delle opere pubbliche finalmente cantierate, anche dopo 17 anni di discussioni, di progetti alternativi, di contenzioso giudiziario e di procedure burocratiche senza fine, spesso internazionali. Questi cantieri sarebbero una manna anticliclica immediatamente disponibile, in termini di investimenti e di creazione di nuovi posti di lavoro, diretti e indotti, (o di mantenimento di quelli che verrebbero cancellati). Ma il M5s stelle che ha per programma la «decrescita felice» (quando tutti sanno che la decrescita è sempre triste e deludente, soprattutto sul piano sociale) non si dà per vinto. Sogna un paese bucolico, frugale (salvo che, complessivamente, negli assegni di cittadinanza), destrutturato, in sostanza vetero-rurale, anche se fatica ad ammetterlo.

Non a caso, il ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Toninelli, anziché darsi da fare, ad esempio, per la ricostruzione immediata del ponte Morandi crollato a Genova, che ha letteralmente strozzato il capoluogo ligure, ha a lungo strologato su una delirante struttura viaria molto creativa e yèyè, alla mago Otelma, per intenderci, con piste ciclabili, percorsi pedonali e dotata di ristoranti e di boutique. Questa idea, che farebbe ridere se non facesse piangere, è fortunatamente subito finita in nulla come se fosse una bolla di sapone.

Di fronte però alla tracotanza di Macron che stiracchia il suo ambasciatore a Roma per impedire che i partiti politici facciano politica in Europa in vista delle elezioni europee, bisogna ribadire che il presidente della Francia ha un'idea stravagante (anche se per lui molto utilitaristica) dell'Europa unita. Ha questa idea anche perché, noi italiani, da sempre, a lui e ai suoi predecessori, gliela abbiamo sempre lasciata credere come possibile. La Ue che abbiamo sinora costruito infatti finge di essere un'Unione, mentre è solo una diarchia franco-tedesca. Non a caso (per nascondere i fatti) l'Europa detta unita si è dotata di un Parlamento che però è un parlamento fantoccio, concepito prima, e usato poi, per gettare la polvere negli occhi dei cittadini europei. Il Parlamento europeo infatti è, nella sostanza, privo di poteri, dato che gira a vuoto come un topolino domestico nella ruota di plastica della sua prigione, come ha efficacemente spiegato Paolo Panerai nell'«Orsi e Tori» su ItaliaOggi di sabato scorso con il quale ha dimostrato, per filo e per segno, che il Parlamento europeo, che pure ha votato con una percentuale bulgara a favore del copyright dei media vampirizzati gratuitamente dalla multinazionali californiane del web, si è poi visto neutralizzare la sua decisione da un labirinto di commissioni, riunioni, rapporti, pareri, ulteriori votazioni e così via. Fino alla paralisi finale e definitiva.

Ciò che le istituzioni europee non avevano sinora costruito, lo hanno fortunatamente realizzato, pragmaticamente, le opinioni pubbliche dei vari stati europei che, essendo state investite nelle loro tasche dalla crisi globale e continentale, sono state costrette ad allargare lo sguardo dalle beghe politiche nazionali, spesso meschine e soprattutto irrilevanti, per poter tener conto dei protagonisti europei che determinano le nostre condizioni politiche e di vita.

Vent'anni fa, solo un'infima minoranza di italiani avrebbe potuto indicare il nome del presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, o quello del predecessore di Mario Draghi alla presidenza della Bce o il Pierre Moscovici dell'epoca. Sarebbero stati, per quasi tutti, dei veri e propri Carneadi. Adesso (e questa è una evoluzione auspicata e benvenuta, del senso comunitario a livello popolare) lo sguardo dei cittadini dei vari paesi europei si sta sempre più allargando alla dimensione continentale. Infatti, per la prima volta dalla sua esistenza, per molti italiani (ma anche per molti cittadini degli altri paesi europei) l'elezione del Parlamento di Strasburgo avviene tenendo conto dell'Europa e non solo dell'Italia.

Ma se si tiene conto dell'Europa, bisogna poter tessere relazioni e costruire alleanze con i partiti degli altri paesi europei, in piena libertà e senza incappare negli anatemi macroniani. Per questo motivo l'incontro di esponenti del M5s con un leader dei gilet gialli francesi non è un'invasione di campo ma è soltanto la democratica espressione della legittima lotta politica per eleggere il Parlamento europeo fra meno di tre mesi.

Nel comunicato del ministro degli esteri francese (che sembra essere stato redatto da uno che è fuori di senno) si legge testualmente: «Avere dei disaccordi è una cosa, strumentalizzare i rapporti a fini elettorali è un'altra». Polemizzare (o allearsi) con gli esponenti politici di altri paesi europei, in vista delle elezioni europee, per Macron «viola il rispetto dovuto a una scelta democratica compiuta da un popolo amico e alleato». Insomma, Macron vorrebbe delle elezioni per eleggere i componenti del Parlamento europeo che siano confinate nei singoli paesi. I muri che Macron dice di non voler costruire ai confini esterni dalla Ue preferisce erigerli in tutti i confini nazionali anche fra i paesi aderenti a Schengen, non solo per impedire la libera circolazione delle persone ma per impedire anche la libera circolazione delle idee.

Macron, che evidentemente sogna le elezioni omeopatiche, parla di «strumentalizzazioni a fini elettorali». Ma una campagna elettorale libera e democratica è, per definizione, senza museruola. Se c'è un momento in cui la polemica è salutare (anche quando è eccessiva) è proprio nell'imminenza delle elezioni. E chi vuol discutere, come hanno fatto Di Maio e Di Battista (ma dovrebbero farlo tutti), per Macron è un pericoloso sovversivo. Anzi vi dirò di più: un maleducato. Capito?

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