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Palazzi & potere
Governo, il discorso di Conte al Senato: bene anche sui punti sdrucciolevoli

Il discorso programmatico di Giuseppe Conte al Senato è stato troppo lungo e troppo diluito. Il premier ha indubbiamente camminato sulle uova. Ma ha detto anche cose importanti, scrive Pierluigi Magnaschi su Italia Oggi. E, ciò che non ha detto, l'ha espresso in modo incoscientemente lucido con il linguaggio del corpo che alle volte spiega più di tante parole. Dal dibattito che si è subito sviluppato negli innumerevoli talk show istantanei e sul web, prevale la delusione sul fatto che Conte non è stato più dettagliato nel precisare i tempi e le risorse disponibili per raggiungere gli obiettivi che si è posto. Un discorso di insediamento però non è certo il luogo nel quale si possono sviluppare questi, sia pur strategici, dettagli. Ma è solo l'occasione per cercare di tracciare una politica complessiva, un trend, una traiettoria, un percorso. L'obiettivo di un premier, chiunque esso sia, nel suo discorso di insediamento, è quello di rendere comprensibile e condivisibile la sua politica. E, da questo punto di vista, il grigiore esibito da Conte, più da revisore dei conti che da trascinatore del popolo, è stato di un grigiore pedagogico, esplicativo. Teso a spiegare, nei punti che sinora erano più controversi, come la sua complessa maggioranza a due teste intende cambiare l'Italia.

D'altra parte, continua Magnaschi, non c'è nulla di nuovo: il dibattito politico è, da sempre, simile a quello della favola del signore con l'asino e il bambino. Avendoli visti attraversare un paese con il padre a piedi e il figlio sull'asino, la gente diceva: «Ma quel ragazzo, nel pieno delle sue forze, dovrebbe avere il buon senso di cedere il posto al padre». Nel paese successivo il ragazzo prese allora la cavezza e il padre salì in groppa all'asino. Ma la gente, vedendoli passare, disse: «Ma guarda te 'sto spilungone di padre che costringe il figlioletto ad andare a piedi». Il paese successivo lo attraversarono tutti e due in groppa all'asino. La gente allora disse: «Ma questi due sono proprio dei disgraziati, vogliono ammazzare una povera bestia salendoci entrambi in groppa». Nel paese successivo, i due scesero a terra. Ma la gente allora disse: «Mai visti due coglioni di questo tipo: hanno un asino e non lo utilizzano». La morale? È che Conte sarebbe stato rosolato ben bene in ogni caso, anche perché, tutto sommato, resta, lui e l'alleanza che lo ha espresso, due oggetti, per il momento, ancora in gran parte sconosciuti

Il discorso di Conte è iniziato con un salto mortale carpiato all'indietro che nemmeno al circo di Pechino riescono a fare così bene. Infatti il premier ha esordito dicendo: «Desidero innanzitutto rivolgere un saluto al Presidente della Repubblica che rappresenta l'unità nazionale e che ha accompagnato le prime, non facili, fasi di formazione di questo governo». Conte non ha ricordato (ma i suoi ascoltatori lo sapevano benissimo) che il presidente adesso ufficialmente lodato dal premier è lo stesso che, solo una settimana fa, uno dei due sottoscrittori dell'accordo, Luigi Di Maio, aveva proposto per l'impeachment).

Sul piano, delicatissimo, della politica estera, Conte ha ribadito «la convinta appartenenza del nostro Paese all'Alleanza atlantica con gli Stati Uniti quale alleato privilegiato». Chiaro, no? Ma l'alleanza con gli Usa non sarà declinata in posizione supina, com'è stato fatto quasi sempre dall'Italia in passato. E quindi Conte ha detto: «Saremo fautori anche di un'apertura alla Russia» che non è un'eresia ma una politica. Criticabile, come tutte le politiche, ma non certo destituita di fondamento per l'interesse dell'Italia e l'estensione di processi di pace e di stabilizzazione geopolitica mondiale.

Sull'immigrazione, che è un nervo scoperto per alcuni eccessi della Lega, ribaditi anche recentemente, il premier ha detto: «Metteremo fine al business dell'immigrazione, cresciuto a dismisura sotto il mantello della finta solidarietà». Non solo, in un processo di esplicita chiarezza, egli ha aggiunto: «Vogliamo che le procedure mirate all'accertamento dello status di rifugiato siano certe e veloci, anche al fine di garantire più efficacemente i loro diritti». Conte è andato oltre: «Difendiamo e difenderemo», ha detto, «gli immigrati che arrivano regolarmente sul nostro territorio, lavorano e si inseriscono nelle nostre comunità, rispettandone le leggi e dando un contributo deciso allo sviluppo». E, come se non bastasse, Conte ha gridato, coperto dagli applausi di tutto l'emiciclo: «Non siamo e non saremo mai razzisti».

Sul tema delle pensioni d'oro, Conte è stato preciso e ragionevole dicendo: «Le cosiddette pensioni d'oro sono un altro esempio di ingiustificati privilegio che va contrastato». Il premier avrebbe potuto fermarsi qui, restando nel vago, essendo questo un tema incandescente anche per il modo con il quale era stato dibattuto in passato. Invece ha subito precisato anche che cosa intende fare in proposito. «Interverremo sugli assegni superiori ai 5 mila euro netti mensili nella parte non coperta dai contributi versati». Si intaccherebbero quindi, com'è doveroso e giusto, solo le punte della grandi pensioni che sono state gonfiate dai contributi figurativi e non da quelli concretamente versati. In precedenza, sempre su questo tema, i partiti al governo indicavano le pensioni al lordo (per far indignare ancor più la gente) salvo poi non far niente visto che non indicavano la volontà di tagliare (come è giusto) quella parte di pensione alta che si avvaleva addirittura del sostegno pubblico. In pratica quindi lo Stato interveniva (e interviene) non solo per sostenere le pensioni minime (che è giusto) ma per ingigantire indebitamente quelle già alte (che è inaccettabile, anche se sinora nessuna governo ha mai fatto niente in proposito).

E passiamo al non detto ma visto (linguaggio del corpo). Quando Conte ha spiegato che la sua candidatura è dovuta alle scelte generose di «coloro che lo hanno scelto rinunciando a legittime aspirazioni personali» si riferiva evidentemente a Di Maio e a Salvini che gli sedevano a fianco, uno da una parte e l'altro dall'altra. Ma Conte anziché rivolgersi a uno dei due e poi all'altro (sarebbe stata una mossa automatica) si è bloccato guardando fissamente davanti a sé e allargando le sua due braccia come se fosse il Buon pastore per indicare contemporaneamente i leader del M5s e della Lega.

Nei primi venti applausi a Conte (alle volte anche scroscianti) ai quali si è sempre vistosamente unito anche Salvini, il leader pentastellato Di Maio è sempre rimasto con le mani incollate sul suo tavolo. Ne ha alzato una, una sola volta sola. Solo per grattarsi il naso, però. Era a disagio? Sembrava proprio di sì. Perché? Non lo so.

La telecamera inoltre ha inquadrato improvvisamente una strana coppia. Era formata dall'ex radicale Emma Bonino con il suo colbacco multicolore che ormai è diventato una sorta di divisa stravagante e in ogni caso eccentrica che la rende sempre più simile a suor Maria Teresa di Calcutta. La Bonino parlava con un Pier Ferdinando Casini, sempre più incartapecorito. Il regista voleva mostrare da dove veniamo (e saremmo ancora?).

 

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governogiuseppe conte





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