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Palazzi & potere
Ignazio Marino: "Ormai contano solo gli slogan sui social media"

L’ex sindaco di Roma, il prof. Ignazio Marino, vive quella che ha già definito la sua ‘’terza vita’’ lontano dall’Italia. È tornato al suo grande e primo amore, la medicina, e vive distante dalla politica italiana, a Philadelphia. Di Di Maio e Salvini dice: ‘’Ormai gli slogan sui social media contano più di ogni altra cosa e azzerano la riflessione e il dibattito obiettivo. Provo una grande frustrazione perché devo ammettere che non so come sia possibile contrastare questa deriva’’.

 

Per tutti noi è soprattutto uno degli ex sindaci di Roma, ma chi è oggi Ignazio Marino?

In realtà io sin dall’adolescenza ho sognato di diventare un chirurgo e, in particolare, un chirurgo nel settore dei trapianti d’organo. Per questo appena laureato ho cercato di approdare negli unici due centri al mondo dove allora veniva eseguito il trapianto di fegato, che rimane ancora oggi l’intervento chirurgico più complesso che si possa eseguire. Ma, soprattutto, è impagabile la gioia nel poter restituire la vita a chi la sta perdendo e tessere un rapporto con il paziente che non si esaurisce dopo l’operazione ma continua nel tempo per la gestione delle delicate terapie antirigetto. Proprio oggi ho ricevuto un messaggio da una signora che trapiantai di fegato 21 anni fa: stava morendo e oggi è una nonna felice. Così sono tornato, come volevo, al mestiere più bello del mondo.

È tornato al suo primo amore: la medicina e l’università. Perché?

La medicina e la ricerca aiutano gli altri a vivere e a vivere meglio: non saprei immaginare nulla di più gratificante. Mi sono laureato in anni in cui non esisteva alcun farmaco per curare l’epatite B e l’epatite C, malattie che uccidono centinaia di milioni di persone sulla terra. Oggi esistono farmaci che possono debellare queste malattie mortali in pochi mesi. Non è straordinario? Inoltre, all’università ho la possibilità di stare continuamente a contatto con giovani brillanti e motivati: un ambiente stimolante che alimenta il mio innato ottimismo.

Com’è la sua giornata tipo a Philadelphia?

Mi alzo la mattina intorno alle 5:00 e cerco di rispondere alle e-mail più importanti. In genere, alle 7:00 ho il primo meeting e poi tutta la giornata scorre tra impegni in Ospedale e Università. Spesso alle 18:00 faccio un’ora di yoga e poi ceno e concludo la giornata leggendo oppure incontrando amici o ascoltando musica.

Non le manca la politica e soprattutto Roma?

Amo Roma e molto spesso penso a tutto quello che si potrebbe fare per esaltare il patrimonio artistico, archeologico e culturale della città più bella del mondo. Come feci da sindaco mi capita spesso di incontrare mecenati che vorrebbero donare milioni di dollari a Roma ma vorrebbero la certezza del loro utilizzo celere e trasparente. Io spiego loro, con tanta sofferenza, che non sono più in grado di promettere questa certezza, e ne soffro molto.

Crede che i vertici del Partito Democratico nel periodo in cui era sindaco di Roma avrebbero potuto agire diversamente? Si parla di quel periodo come di una ‘’cacciata di Ignazio Marino’’…

Ho scritto un libro su quel periodo “Un marziano a Roma” (Feltrinelli, 2016). Oggi è il passato. Almeno per me.

La sanità pubblica italiana da che cosa si differenzia dalla sanità statunitense?

Di recente un grande medico italiano, Giuseppe Remuzzi, ha pubblicato un libro sull’importanza del Servizio Sanitario Nazionale. Concordo con il suo pensiero: non sappiamo apprezzare il valore di una sanità che offre lo stesso livello di cure a tutti – in base alla nostra Costituzione, badi bene, questo è un diritto fruibile da tutte le persone presenti sul territorio nazionale, non dai soli cittadini italiani! Negli USA, nonostante la riforma del presidente Obama, ancora oggi milioni di persone non hanno accesso alle cure. E se non hai accesso alle cure e, per esempio, hai il diabete, rischi di morire senza assistenza.

Di Trump e dell’incostituzionalità della riforma sanitaria di Obama, l’Obama Care, che cosa ne pensa? Che limiti aveva, se ne aveva?

È stato un grande passo avanti ma ancora non sufficiente rispetto ai bisogni della popolazione e certamente rispetto ai sistemi sanitari europei. La riforma del presidente Obama è paragonabile al sistema mutualistico che esisteva in Italia sino al 1978. In altre parole, molte più persone hanno accesso alle cure ma esiste una disparità secondo il reddito e la professione. Paradossalmente, senza entrare nei dettagli della riforma, ad uscirne penalizzata è stata la classe media e i giovani in cerca di occupazione – una fetta consistente e fondamentale in qualsiasi società.  Credo che questo tipo di disparità non siano accettabili, soprattutto nel paese più ricco del mondo.

A suo avviso in che cosa è carente la sanità italiana?

Anch’essa nelle disparità, ma di diverso tipo. Mi spiego: non è accettabile che chi nasce in Calabria non abbia le stesse possibilità di cure, la stessa qualità di cure di chi nasce in una regione del Nord.

Dall’America che idea si è fatto della politica italiana attuale, di Di Maio e Salvini?

Soffro per il fatto che si sia perduta la possibilità di ragionare con serietà e il necessario approfondimento sulle questioni più rilevanti: il lavoro, i diritti civili, l’immigrazione, la scuola, la sanità, la laicità dello Stato. Ormai gli slogan sui social media contano più di ogni altra cosa e azzerano la riflessione e il dibattito obiettivo. Provo una grande frustrazione perché devo ammettere che non so come sia possibile contrastare questa deriva.

Che cosa ne pensa della politica sull’immigrazione e sugli sbarchi di Salvini?

Un giorno di dieci anni fa qualcuno mi disse che dovevo andare a Riace. Io conoscevo Riace solo per i famosi bronzi ritrovati nelle acque del suo mare. Ci andai. Trovai una realtà di straordinaria integrazione. Incontrai un ragazzino afgano di otto anni che si trovava lì da tre anni. Gli chiesi come vi fosse arrivato. Piangendo, in un perfetto italiano, mi disse che 3-4 anni prima la mamma lo aveva affidato a mani sconosciute e mentre ella piangeva gli aveva detto: “Figlio mio, oggi non puoi capire, ma io voglio che tu cresca in un luogo dove non rischi di saltare su una bomba, dove puoi imparare a leggere e scrivere e dove se ti ammali puoi essere curato”. Quale lezione può essere più completa delle parole di quel bimbo?

Come vede la sua città, Roma, è cambiata da quando l’ha lasciata, sotto l’amministrazione Raggi?

Vedo che si rivalutano ogni giorno le idee e i progetti che avviai. Dalla necessità del mecenatismo al chiedere agli autisti degli autobus e della metropolitana di lavorare almeno quanto a Napoli. Non mi interessa che venga riconosciuto quanto io e la mia giunta abbiamo fatto: spero che al di là delle parole si agisca davvero nell’interesse della Capitale d’Italia, la Capitale di un Paese del G7.

I suoi prossimi progetti riguarderanno anche l’Italia?

Poche settimane fa ho realizzato un mio sogno. Sono riuscito a concludere un accordo che già a partire dal prossimo autunno consente agli studenti iscritti al corso in inglese di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica di Roma di frequentare per tre anni in Italia e per tre anni negli USA, alla Thomas Jefferson University. Al termine avranno una doppia laurea che consentirà loro di esercitare la professione nei 28 Paesi dell’Unione Europea e nei 50 Stati USA. È un nuovo orizzonte che permetterà di formare una nuova classe di medici “globali”, e l’Italia svolgerà un ruolo centrale.

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