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Palazzi & potere
Il futuro dell'euro alla prova. Antonio Fazio ad Avvenire

L'Europa:<Il piano che aveva ideato Juncker, di investimenti per 315 miliardi, era la soluzione giusta. L’area dell’euro ha un surplus della bilancia dei pagamenti, nei confronti del mondo esterno, del 3% del suo Pil. Cosa fa? Ha disoccupazione, ha deflazione, può e deve spingere invece gli investimenti. L’ex ministro greco delle Finanze, Yanis Varoufakis, che è stato tanto criticato, aveva capito le cose meglio degli altri. In sostanza l’argomento è: se invece di puntare tutto sul QE (anche se Mario Draghi si sta muovendo nella giusta direzione, al massimo di quanto gli concede lo Statuto) comprando titoli pubblici – quindi coprendo una spesa già effettuata da altri –, 300 miliardi fossero impegnati ogni anno in progetti di investimento scelti dalla Banca Europea degli Investimenti e i relativi titoli acquistati dalle banche centrali nazionali, avremmo un immediato, notevole sollievo della situazione economica. La politica monetaria molto espansiva aiuta l’economia, in particolare in questo momento attraverso il cambio, che dopo i livelli che aveva raggiunto – proibitivi per le economie più deboli – è ora tornato su livelli più naturali. Comunque se il cambio è in linea con le economie più deboli, è estremamente favorevole per quelle più forti. Keynes ci ha insegnato: in un’economia dove c’è disoccupazione, il risparmio lo formano gli investimenti. Effettuando gli investimenti aumenta il reddito e si forma il nuovo necessario risparmio (……) Non bisogna ragionare, come talora si fa in Europa, come se i soldi fossero già in cassa, questo è un ragionare da contabili, non tenendo conto delle più elementari nozioni di macroeconomia. L’area dell’euro soffre di problemi gravi di disoccupazione. La domanda globale è insufficiente. I riflessi sociali sono evidenti, seguiranno purtroppo riflessi anche politici. Il surplus di bilancia dei pagamenti di alcuni Paesi dovrebbe essere impiegato in investimenti reali, non finanziari, in patria o in altri Paesi dell’area. Una politica del genere aiuterebbe anche l’economia mondiale>.

 

La Germania e la deflazione: <La bilancia dei pagamenti, differenza tra quello che si esporta e quello che si importa, negli Stati Uniti è deficitaria per 456 miliardi di dollari. Come fanno? Creano dollari, principale moneta internazionale, per coprire il disavanzo. Ma il fatto più straordinario è che la Germania, proprio per l’aumento di competitività iniziato dal 2000, ha un surplus vicino a quello della Cina. La Germania è un terzo della Cina, e ha un surplus dovuto al fatto di avere un’industria particolarmente efficiente. Ma gode, grazie all’euro, di un cambio favorevole in quanto altri Paesi, tra i quali Italia, Spagna, Grecia, anche la Francia, di fatto ne abbassano il valore. Un Paese che ha un surplus della bilancia dei pagamenti dovrebbe reinvestirlo in spesa reale o prestarlo ad altri Paesi che hanno un deficit, altrimenti crea deflazione nel sistema di cui è parte>.

 

L'economia italiana: <Come dissi negli anni Novanta, non abbiamo più i terremoti monetari, ma una sorta di bradisismo: ogni anno perdiamo qualcosa in termini di crescita rispetto agli altri Paesi. Mi piace fare da solo i conti sulle principali variabili macroeconomiche: Il Pil in questi 9 anni è calato in Italia del 5,5%, meno 0,6% all’anno; nel resto dell’Europa dell’euro, che comprende anche Slovacchia, Estonia, Spagna, Portogallo e Grecia, cresce dello 0,8% all’anno. Osservate il bradisismo: è uno sprofondamento dell’1,4% all’anno. Quello che muove l’economia sono gli investimenti produttivi: sono diminuiti in Italia tra 2006 e 2014 del 27%, nel resto d’Europa sono aumentati. Il costo del lavoro per unità di prodotto in Italia sempre dal 2006 in media è aumentato del 2,4%, nel resto dell’Europa (inclusi Grecia e Portogallo) dell’1,5%, ma in Germania e Francia l’aumento è stato pressoché nullo. Si debbono fare allora le riforme, anche se non saranno quelle istituzionali a ridurre il costo del lavoro, punctum dolens dell’Italia per uscire da questo stallo. Avremmo, per esempio, da imparare dalla Germania circa la partecipazione dei sindacati nell’indirizzo e gestione delle imprese>.

 

Il debito pubblico: <La politica italiana, dopo aver assunto formalmente con l'Europa nel 1997 l'impegno a ridurre il debito pubblico, purtroppo di quelle promesse non ne ha fatto nulla. Il rapporto fra debito e Pil ha continuato ad aumentare paurosamente, fino al 2015. E' salito anche a seguito delle politiche di aumento dell’imposizione fiscale suggerite dalla Commissione. O è sbagliata la diagnosi o è sbagliata la medicina. Ma se è sbagliata la diagnosi, la cura è sicuramente controproducente>.

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economiaantonio fazio





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