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Palazzi & potere
Mafia, chi c'è dietro l'assassinio di Giovanni Falcone? Novità clamorose

Ci sarebbe l'ombra dei servizi segreti libici dietro la strage di Capaci. Gli occhi, scrive l'Adnkronos, sono puntati su una 007 donna libica che avrebbe avuto un ruolo importante nella strage in cui furono uccisi, il 23 maggio 1992, il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta. La rivelazione arriva, a sorpresa, dal pentito di mafia Pietro Riggio, 54 anni, una ex guardia penitenziaria, che ha parlato con i magistrati della Procura di Caltanissetta che indagano sulla strage di Capaci. Ma non è l'unica novità. Spunta anche un altro indagato per la strage. Il pentito Riggio, il 7 giugno 2018, decise di raccontare ai pm alcuni retroscena appresi sulla strage Falcone. Verbali che ora sono finiti agli atti del processo Capaci-bis che vede alla sbarra cinque mafiosi. Parlando di un ex poliziotto, di cui cita anche nome e cognome, Riggio spiega: "Mi disse che si erano avvalsi per la strage di Capaci dei servizi segreti libici". E parla di una "donna appartenente ai servizi segreti libici". Sarebbe stato proprio l'ex poliziotto, a dire al collaboratore di giustizia che "per le operazioni particolari si avvaleva spesso di una donna che faceva parte dei servizi libici, anche lei coinvolta nella strage di Capaci". Lo stesso collaboratore di giustizia di Resuttano, nel nisseno, Pietro Riggio, ha detto anche ai magistrati che un ex poliziotto avrebbe messo l'esplosivo sotto l'autostrada per preparare l'attentato di Capaci, il 23 maggio '92. L'agente, nel frattempo, come apprende l'Adnkronos, è stato iscritto nel registro degli indagati per strage e associazione mafiosa. L'uomo, secondo l'accusa, avrebbe ricoperto il ruolo di "compartecipe e esecutore materiale della strage di Capaci". Anche se il diretto interessato respinge con forza tutte le accuse: "Mi protesto innocente in quanto all'epoca dei fatti nemmeno sapevo che esisteva la località di Capaci. Io mi trovavo al settimo corso per sovraintendente che è iniziato nel gennaio 1992 fino a luglio 1992. Appresi della strage mentre mi trovavo a quel corso", ha detto lo scorso 6 marzo ai pm nisseni. Ha parlato in quella occasione anche dei suoi rapporti con il collaboratore di giustizia Riggio. "L'ho conosciuto nel carcere di Santa Maria Capua a Vetere nel 1998 - dice - Dopo la scarcerazione lo stesso si era offerto di darmi un lavoro poi però nel 2002 in poi non l'ho più visto. Sono stato anche fermato con lui in auto a Caltanissetta e dopo di ciò non l'ho mai più visto". E ribadisce: "Non ho mai fatto alcuna confidenza a Riggio in merito a vicende legate alla strage di Capaci - dice - né in relazione a un mio coinvolgimento nella stessa". "Non so proprio perché Riggio mi abbia tirato in ballo in queste vicende", spiega l'ex poliziotto. Parlando con i magistrati, il collaboratore Pietro Riggio ha invece riferito di avere appreso dall'ex agente altri particolari sulla strage mafiosa del 23 maggio 1992. Gli avrebbe detto, ad esempio, che "Brusca ancora è convinto di avere schiacciato lui il telecomando" della strage di Capaci. Racconta anche che l'ex poliziotto, che secondo lui avrebbe avuto un ruolo nella strage "frequentasse la Sicilia dagli anni '90" ma "non mi ha mai detto espressamente che era presente alla strage di Capaci".

Ma perché racconta tutti questi fatti, molto importanti, solo adesso, a tanti anni di distanza? Lo hanno chiesto gli stessi magistrati al collaboratore. Che ha risposto così: "Parlo solo ora perché a mio avviso i tempi oggi sono maturi perché si possano trattare certi argomenti senza rischiare la vita". "Tanti segnali mi inducono a fare tale affermazione - dice il collaboratore - primo fra tutti la sentenza che ha chiuso il cosiddetto processo per la trattativa Stato-mafia". Ma aggiunge: "Al tempo in cui ho inviato la lettera agli uffici tale sentenza non era stata ancora emessa". "Ma ripeto - dice - dopo un lungo travaglio interiore, avevo da tempo maturato l'intenzione di parlare con il dottor Luciani (pm del processo per il depistaggio Borsellino ndr), per dirgli tutto ciò che avevo taciuto". Il pentito ricorda ancora di avere saputo che tra la fine degli anni Novanta e l'inizio del 2000, i Carabinieri "non avevano alcun interesse a catturare Bernardo Provenzano", il capomafia corleonese arrestato poi nel 2006. Riggio racconta di essere stato "rimproverato" dallo stesso ex poliziotto. Che lo avrebbe rimproverato "per il fatto di avere collaborato con i Carabinieri" e gli dice: "Hai finito di cercare Provenzano?", spiegandogli che "in realtà non hanno alcun interesse alla sua cattura" e "ammonendolo" sul fatto che "tale collaborazione avrebbe potuto costargli la vita". Gli dice: "Se non c'ero io tu eri un uomo morto". Ma non finiscono qui le rivelazioni di Pietro Riggio. E' lui a raccontare ai pm di Caltanissetta che "nel 2000 Cosa nostra voleva uccidere l'ex giudice istruttore Leonardo Guarnotta", oggi in pensione, in passato membro del pool antimafia coordinato dal giudice Antonino Caponnetto. Con Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Giuseppe Di Lello, Guarnotta ha istruito il Maxiprocesso di Palermo e per ultimo ha ricoperto l'incarico di Presidente del Tribunale. "Ricordo che venne a casa mia (l'ex poliziotto ndr) - racconta il pentito - siamo intorno al 2000, mi tranquillizzò dicendomi che sarei tornato in servizio che la 'nostra organizzazione' aveva bisogno di fare favori alla politica quando ve ne era la necessità. Segnatamente mi disse che era stato incarico a uccidere il giudice Guarnotta (Leonardo ndr) e che a tal fine aveva già eseguito un sopralluogo nei pressi di un 'palazzo', ritengo fosse quello dove abitava il magistrato". Dopo la scarcerazione, l'ex poliziotto avrebbe reclutato il mafioso per fare parte di una non ben identificata struttura dei Servizi che si occupava della ricerca di latitanti. "Ricordo che ci trovavamo in un bar di via Rosso di san Secondo, vicino a un giornalaio. Mentre parlavano fece anche uno schizzo che riproduceva la zona dove si trovava il palazzo cui ho fatto cenno", dice ancora il pentito Pietro Riggio. "Con una scusa mi allontanai, dicendo che dovevo andare a prendere mio figlio e che sarei tornato da lì a poco".

Poi Riggio avrebbe nuovamente incontrato l'ex poliziotto, che avrebbe avuto anche un ruolo nella strage di Capaci. "Incontrato nuovamente nel posto convenuto - dice - mi disse che il piano era già stato elaborato, io avrei avuto il compito di aspettarlo dopo il delitto nei pressi di un'area di sosta sita nelle vicinanze della Galleria Tre Monzelli, direzione Sud per accompagnarlo a Resuttano dove avrebbe trovato poi rifugio nella casa di campagna di mio padre che io gli avrei messo a disposizione". Parla anche del boss mafioso Piddu Madonia secondo cui le stragi mafiose del 1992 furono "una grande minchiata". "Dopo le stragi del 1992 - racconta il collaboratore di giustizia - andai a trovare Madonia (Piddu ndr) a Longare di Vicenza dove era latitante e gli portai 20 milioni di lire che avevo ricevuto". Fu in quella occasione che il boss mafioso avrebbe parlato delle stragi mafiose. "In effetti - dice ancora il pentito - lui dopo tali eventi dovette lasciare Bagheria dove era stato per tanto tempo latitante e riparò in provincia di Vicenza. Quando mi recavo a trovarlo a Bagheria, circa una volta a settimana, in genere trovavo soggetti locali di cui non ricordo il nome". Nuove rivelazioni, nuovi misteri che si aggiungono ai numerosi interrogativi sulla strage di Capaci.

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