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Palazzi & potere
Minenna: ecco come cambiare l'Europa

In un recente articolo apparso sul blog Social Europe l’economista Marcello Minenna analizza il panorama dei rischi nell’Eurozona utilizzando indicatori meno conosciuti dello spread ma altrettanto importanti.

Il ragionamento di Minenna muove da una considerazione sulla peculiarità della politica monetaria nell’area euro tanto che l’Unione Monetaria Europea viene definita ‘uno strano animale’.

L’obiettivo primario della BCE è mantenere la stabilità dei prezzi con un target d’inflazione inferiore ma prossimo al 2%. Solo subordinatamente a questo obiettivo – ricorda Minenna – la BCE può anche supportare le politiche economiche generali dell’area euro, comprese quelle che perseguono la piena occupazione e una crescita economica bilanciata.

L’economista fa notare che perseguire un obiettivo d’inflazione a livello dell’Eurozona nel suo complesso significa che tale obiettivo è inteso come valore medio tra tutti i paesi membri; ciò lascia spazio a differenziali di competitività che premiano alcuni Stati e ne sfavoriscono altri a dispetto della comune appartenenza alla stessa unione monetaria:

«inflation differentials matter especially when they cannot be rebalanced by exchange rate adjustments. We had a taste of this in the early 2000s when Germany hit all records as top low inflation country in the euro area and cashed in on the related competitive advantage»

In economia – spiega Minenna – questi divari competitivi trovano espressione nelle diverse dinamiche del tasso di cambio reale effettivo (cioè il cambio corretto appunto per i differenziali d’inflazione). Tra il 1999 e il 2008 solo la Germania e i suoi paesi alleati (Finlandia e Austria) hanno beneficiato di un deprezzamento del tasso di cambio reale:

«a deterioration in competitiveness occurred for most countries, with the noticeable exception of Germany and its allied states (Finland and Austria), which indeed enjoyed overall a depreciation of their real effective exchange rates»

Il perseguimento di un obiettivo d’inflazione in media tra i paesi membri ha importanti implicazioni anche sui tassi d’interesse reali, ossia i tassi d’interesse nominali al netto dell’inflazione. La BCE agisce sui tassi nominali che sono comuni a tutti gli Stati membri; ma – scrive Marcello Minenna – a causa del diverso valore dell’inflazione tra uno Stato membro e l’altro, ogni paese ha il suo specifico tasso d’interesse reale con la conseguenza che ancora una volta ci sono paesi premiati e altri svantaggiati.

Tutto questo – ricorda Minenna – era stato profetizzato dall’economista britannico Alan Walters che, nel consigliare alla Thatcher di non entrare nell’euro, aveva evidenziato proprio l’intrinseca instabilità dei sistemi di cambi fissi:

«in the absence of rebalancing mechanisms replacing bilateral exchange rate adjustments, such a system is vulnerable to large gaps between participating countries and to dynamics that amplify economic cycles at the national level»

La profezia di Walters si è avverata: prima della crisi la Germania aveva alti tassi di interesse reali a causa della bassa inflazione, mentre altrove (ad esempio in Spagna) la rapida crescita dei prezzi aveva spinto i tassi reali in territorio negativo. Di conseguenza in Germania era calata la propensione all’investimento (anche se questo non ha influenzato sensibilmente l’economia tedesca tradizionalmente più basata sul mercantilismo che sulla domanda interna) e, di contro, i bassi rendimenti reali hanno ulteriormente surriscaldato le economie ad alta inflazione alimentando il boom degli investimenti e la bolla immobiliare.

Il professore nota anche come con l’avvento della crisi, l’apprezzamento del rischio di credito e la comparsa dello spread nuovi rischi siano intervenuti a complicare lo scenario dell’area euro. Proprio per questo motivo, Minenna ha ideato un nuovo indicatore che ha chiamato tasso di cambio reale finanziario e che corregge il tasso di cambio reale per tener conto dello spread tra i titoli di Stato dell’Eurozona. Confrontando l’andamento di questo indicatore tra i diversi Stati membri è immediato osservare come la nostra unione monetaria non sia mai stata unita e come, in termini di forza commerciale, la Germania sia il vincitore indiscusso.

Minenna analizza poi quello che lui definisce il paradosso dell’inflazione nell’area euro: il riferimento è di nuovo alla particolarità della BCE. In altre aree valutarie la banca centrale può monetizzare il deficit con interventi più o meno diretti; inoltre l’autorità monetaria ha un mandato duale che la impegna a perseguire con pari dignità la stabilità dei prezzi e la piena occupazione. In questo modo – spiega l’economista – la banca centrale influenza la dinamica dei prezzi anche per effetto degli effetti delle sue decisioni che impattano sui salari. La conseguenza – scrive Minenna – è che in aree valutarie come gli USA l’inflazione rappresenta un rischio endogeno per i titoli di Stato e ciò rende opportuno esaminare i relativi rendimenti in termini nominali:

«FED backing implies that for US Treasuries the insolvency risk is absolutely marginal compared to the unknown represented by future inflation»

Al contrario, nell’Eurozona, la banca centrale de facto ha una modesta influenza sull’inflazione dei singoli paesi. Secondo Minenna un’importante conseguenza di questo assetto è che per i titoli governativi dell’Eurozona l’inflazione costituisce una fonte di rischio esogena, mentre il fattore di rischio più rilevante diventa quello d’insolvenza. Ne deriva l’opportunità di confrontare i rendimenti dei titoli di Stato dei vari paesi membri in termini reali, cioè al netto dei differenziali d’inflazione.

In altri termini è allo spread reale tra BTP e Bund che bisogna guardare: facendolo – rimarca Marcello Minenna – scopriamo che questo spread è rimasto pressoché invariato negli ultimi sette anni:

«this suggests that Italy’s risk profile has not improved significantly over time»

La cosa non dovrebbe sorprendere – aggiunge Minenna – perché a parte l’imposizione di una severa disciplina fiscale ai paesi periferici, l’Europa non ha fatto nulla per ridurre i rischi e con le tensioni emerse nell’ultimo periodo oggi siamo di nuovo ai livelli visti all’apice della crisi.

A dirlo – spiega Minenna – sono diversi indicatori di mercato che misurano il premio al rischio richiesto dagli investitori su titoli di Stato e connessi strumenti derivati (i CDS sovrani) che risultano maggiormente esposti alle perdite derivanti dal verificarsi di scenari estremi rispetto a titoli simili ma con caratteristiche che li rendono relativamente meno rischiosi (ad es.: la denominazione in una valuta diversa dall’euro o l’assoggettamento alla legge estera.

Per Minenna l’antidoto a questi mali è passare ad un approccio impostato sulla condivisione dei rischi (risk sharing) tra i paesi dell’euro. A questo – conclude l’economista – dovrebbe mirare il processo di riforma dell’Eurozona dando la priorità al completamento dell’unione bancaria e all’assicurazione Europea sui depositi e aprendo a soluzioni di mutualizzazione dei rischi sovrani come quella che Minenna ha sviluppato insieme a Dosi, Roventini e Violi e che si basa su uno schema di garanzia sovranazionale fornita dall’ESM e pagata a prezzi di mercato.

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