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Palazzi & potere
Nato: tra Trump e lotta al terrorismo

Un’Europa colpita di nuovo dai terroristi si prepara a ricevere un presidente degli Stati Uniti che ha fatto della lotta al terrorismo l’unica idea certa della propria politica di difesa. Nonostante questa potenziale convergenza di interessi, restano però divergenze tra le posizioni di Washington e degli alleati europei alla vigilia del mini-vertice Nato di Bruxelles. 

Trump e la lotta al terrorismo
Donald Trump, dalla campagna elettorale alla sua recente visita in Arabia Saudita, ha fatto della lotta al terrorismo internazionale di matrice islamica la bandiera della sua politica di sicurezza e difesa. A questo obiettivo ha sacrificato sia l’idea di promuovere la democrazia, cara al suo predecessore repubblicano George W. Bush, sia l’attenzione al tema dei diritti umani mantenuta da Barack Obama nonostante la ferrea realpolitik praticata in Medio Oriente dal presidente democratico. 

Il presidente repubblicano ha affermato chiaramente che gli Stati Uniti non si impegneranno per la stabilizzazione della Libia, o di altri Stati falliti nel mondo arabo, perché la caccia ai terroristi va fatta tramite operazioni di intelligence, di forze speciali, o anche militari, ma che non richiedano l’impiego massiccio di truppe sul terreno e soprattutto evitino ambiziosi compiti di state building

Un approccio che però in alcuni casi non funziona, tanto che i vertici militari americani hanno recentemente chiesto alla Casa Bianca di aumentare il contingente in Afghanistan di circa 3-5.000 uomini, per contrastare il rafforzamento della guerriglia talebana ed evitare così di perdere quanto faticosamente costruito in 15 anni di impegno Usa e Nato nel Paese. 

Il nesso tra sicurezza interna ed esterna
Proprio la Nato è alle prese con la definizione del suo ruolo di fronte alla minaccia terroristica e in generale alle crisi e instabilità nel vicinato meridionale dell’Europa. Sul contrasto al terrorismo in senso stretto, l’Alleanza atlantica può dare un contributo minimo, perché si tratta di un’azione di prevenzione e repressione condotta principalmente dalle forze di polizia e/o di intelligence. Poiché è fondamentale la condivisione di dati a livello europeo e transatlantico, la Nato potrebbe contribuire aiutando i Paesi membri a condividere le informazioni di intelligence e fornire quelle raccolte dagli assetti dell’Alleanza. 

La Nato e in generale la politica di difesa ha però un ruolo importante, complementare a quello di poliziotti e agenti segreti, se si comprende il nesso tra sicurezza interna ed esterna. La straordinaria crescita del terrorismo islamico in Europa negli ultimi quattro anni è legata alle dinamiche in Medio Oriente e Nord Africa, allo scontro tra sunniti e sciiti, alle guerre in Siria e Iraq, agli Stati falliti in Libia e Yemen. La politica di difesa, e ovviamente la politica estera, può dare un contributo a stabilizzare il vicinato dell’Europa e quindi a togliere acqua al mulino del terrorismo islamico. 

Tra incomprensioni, simboli e piccoli passi
Il problema per la Nato - e non solo - è che l’Amministrazione Trump non ha finora colto il nesso tra sicurezza interna ed esterna, tra stabilizzazione del Nord Africa e Medio Oriente da un lato e contrasto al terrorismo dall’altro. L’analisi semplicistica e in parte sbagliata del presidente repubblicano, che attribuisce tutte le colpe del terrorismo islamico all’Iran, rinsaldando l’asse con l’Arabia Saudita e le monarchie sunnite del Golfo, difficilmente contribuisce a una stabilizzazione complessiva della regione. La mancanza di proposte concrete da parte americana, almeno fino alle ultime ministeriali Nato, su come articolare un contributo dell’Alleanza alla lotta terrorismo, mostra che c’è poca sostanza dietro gli slogan.

Infine, il martellamento di Trump sulla spesa del 2% del Pil nella difesa si sta rivelando diplomaticamente un boomerang, perché le opinioni pubbliche europee così dimenticano che l’impegno a raggiungere la soglia era stato preso da tutti gli alleati alla presenza di Obama nel Vertice della Nato di Cardiff del 2014 e associano piuttosto la richiesta a un presidente americano tutt’altro che amato in Europa, mettendola così in cattiva luce. 

In questo contesto, l’Amministrazione repubblicana ha chiesto alla Nato di aderire ufficialmente alla coalizione internazionale che combatte lo Stato islamico, ed il Vertice di Bruxelles darà probabilmente via libera al riguardo. Si tratta di un gesto poco più che simbolico, perché tutti gli Stati membri già partecipano individualmente alla coalizione, ma che potrebbe avere risvolti positivi se porterà ad una maggiore condivisione e articolazione della strategia complessiva contro lo Stato Islamico. 

Più nel concreto, la Nato probabilmente deciderà di aumentare il personale militare dispiegato in Iraq per addestrare le forze locali che combattono lo Stato Islamico, eun maggiore impiego degli aerei da ricognizione Awacs a sostegno della campagna area in corso in Siria contro i miliziani di Daesh. 

Piccoli passi che avvengono nel campo minato dei rapporti transatlantici nell’era Trump, mentre l’inaugurazione presso il quartier generale Nato di un monumento alle vittime dell’11 settembre 2011 dovrebbe ricordare che l’Alleanza esiste per aiutare gli Stati membri ad affrontare le minacce alla sicurezza dei propri cittadini. 

Tags:
natotrumpterrorismo





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