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Palazzi & potere
No al marketing della paura

NO AL MARKETING DELLA PAURA
PERCHÉ TORNO A VIBO VALENTIA DOPO ESSERE STATO AGGREDITO

 

Ho superato i 50 anni, ormai sono vecchio. Lo sono ancora di più se si considera che, rispetto a come era la comunicazione (d’impresa e non) dei miei inizi, il settore ha subito una rivoluzione copernicana, ed è stato un bene. Il flusso informativo si è democratizzato, i canali si sono moltiplicati e il web somiglia molto a quella democrazia di base teorizzata a fine degli anni settanta dai verdi tedeschi, che furono un'avanguardia sul piano politico e del costume.
Proprio in queste ore impazza la discussione sul come affrontare e trattare la questione del terrorismo islamico, se amplificare o meno i messaggi dei terroristi o se censurarli. Sono dibattiti tipici dei momenti di crisi, che si ripropongono in forma diversa. Giustamente, ci si sta concentrando su un'emergenza che attanaglia e preoccupa tutti: quella del terrorismo islamista.
Ma c’è un'altra forma di marketing del terrore che ha sollecitato il mio interesse nell'ultimo anno. Mi trovavo in Calabria 15 mesi fa per un'iniziativa di Confindustria alla quale ero stato invitato, quando un caso di cronaca mi colpì molto. Si trattava della vicenda che aveva riguardato il magistrato Giancarlo Giusti, coinvolto in una storiaccia di corruzione ed escort, con tanto di accuse di relazioni con la 'Ndrangheta.
Mi incuriosii e tra un meeting e l'altro, contattai il magistrato per chiedergli un'intervista. L'epilogo è noto: il tragico suicidio del giudice in questione, tanta amarezza e rammarico, e – almeno per quanto mi concerne – la scoperta di un universo: quello della criminalità organizzata calabrese.
Da bravo secchione mi misi a studiare il fenomeno, i codici linguistici, comportamentali che poi sono ancestrali, tribali.
Ora, non voglio dilungarmi, ma capii che la 'ndrangheta è, non a caso, la mafia economicamente più potente al mondo. Si è impossessata del business più lucroso da una parte – quello delle droghe – e ha codificato magistralmente e tragicamente gli stilemi del marketing del terrore, dall'altra, provocando un effetto di dissuasione pazzesco, esercitato a tutti i livelli, facendo sì che di questa realtà si parlasse il meno possibile, solo lo stretto necessario.
Nonostante un percorso criminale degno di una guerra punica, con migliaia di morti sul campo, la 'Ndrangheta è in assoluto la mafia meno raccontata della storia.
Quale stimolo migliore, dunque, per chi fa il mio lavoro?
La sfida è proprio questa: trovare dei codici narrativi efficaci che rappresentino il fenomeno in tutta la sua gravità e pervasività. Alimentare la luce dove invece si vuole che dominino le tenebre.
Non è facile, ma almeno bisogna provarci. Proprio con questo intento agli inizi di luglio mi sono recato a Vibo Valentia. L'occasione era data dal pentimento di Andrea Mantella, killer ‘ndranghetista, e soprattutto da una lettera scritta da sua madre alle testate locali, con la quale a nome di tutta la famiglia si dissociava dalla scelta del congiunto di collaborare con la giustizia.
La donna gestisce un chiosco ortofrutticolo nell'area mercatale di Vibo. L'ho avvicinata e le ho posto le prime domande alle quali ha iniziato a rispondere senza alcuna reticenza, fintanto che un parente presente non ha iniziato ad invitarla bruscamente a non rispondermi più.
Con il mio coautore, che mi seguiva con la telecamera, ci siamo dunque spostati, in attesa dell'arrivo del legale della famiglia, contattato da un'altra parente sopraggiunta poco dopo.
Nonostante questo, Alessandro Pugliese, fidanzato della giovane che aveva contattato l'avvocato, mi minacciava, intimandoci di spegnere la telecamera.
Di lì a poco sopraggiungeva in auto Antonio Franzè - che pare essere un cognato della signora - il quale, subito raggiunto da Pugliese, mi aggrediva. Sono stato colpito alla testa e hanno danneggiato la nostra attrezzatura. I due hanno concluso l'aggressione con la frase, pronunciata dal Franzè "Prima o poi prendo la pistola contro di te".
Ne è seguito il mio ricovero in ospedale per gli accertamenti necessari e ovviamente la denuncia da parte mia per aggressione e minacce.
La famiglia Mantella mi ha a sua volta denunciato per violenza psicologica. Un paradosso.
Ora, a distanza di tre settimane ritorno a Vibo Valentia, nel luogo dove mi hanno aggredito, per incontrare la cittadinanza e fare un'inchiesta sulla presenza delle cosche sul territorio urbano.
Non bisogna avere paura.

Link del video che documenta l'aggressione: https://www.youtube.com/watch?v=v5ackGbGBpA&authuser=0

 

Klaus Davi
*Comunicatore d'impresa, scrittore e giornalista è considerato uno dei massimi esperti del settore

Tags:
marketing





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