A- A+
Palazzi & potere
Opere pubbliche, il blocco dei lavori pubblici danneggia l'Italia

L'Italia è un paese che ha accumulato un forte ritardo nella costruzione delle sue opere pubbliche. Infatti le sue élite politiche di estrazione pauperistica (comuniste e cattoliche) si sono da sempre trastullate dietro lo slogan «piccolo è bello» mettendosi quindi di traverso rispetto a tutte le opere pubbliche (e anche a quelle private rilevanti) che sino a non molto tempo fa venivano sempre definite, da costoro, come «faraoniche» o «cattedrali nel deserto». Per dare un'idea di questa fossilizzazione culturale, scrive Pierluigi Magnaschi su Italia Oggi, basti ricordare che a Milano la sinistra si batté a lungo contro la realizzazione della metropolitana ritenendo che essa fosse uno strumento a beneficio dei signori mentre era meglio puntare sui tram che, sempre secondo queste ceto supposto dirigente, servivano i ceti popolari.

Sempre a Milano durò più di mezzo secolo il catenaccio contro i grattacieli, in nome delle case di ringhiera con i cessi e i ballatoi comuni che facilitavano, si diceva, la socializzazione (sia pure pauperistica). Ovviamente, Milano, che (grazie a queste idee balzane) non poteva svilupparsi in altezza (perché era proibito dal ceto politico-amministrativo che regnava a Palazzo Marino), si sviluppò in estensione per cui oggi, al di là dei confini formali, puramente amministrativi, Milano, in pratica, arriva fino alla Svizzera dopo aver divorato estensioni enormi di terreni agricoli fertilissimi. E gli stessi ceti che impedivano a Milano di crescere in altezza, protestano adesso perché l'edilizia ha fatto fuori un sacco di terreno, denunciando la cementificazione del territorio.

L'attuale boom di Milano (un boom che trascina verso l'alto tutta l'Italia) non è tanto dovuto all'Expo, come si sta recitando con una narrazione discutibile anche perché troppo semplificata, ma è dovuto soprattutto a tre ingredienti: il sistema della metropolitana milanese, che assicura una mobilità efficiente ed apprezzata dagli utenti essendo essa anche innervata anche con i grandi assi di comunicazione interregionale e nazionale; i quartieri dei grattacieli (che la sinistra riformista ha chiamato «torri» perché, in caso contrario, la sinistra ossificata si sarebbe opposta); l'alta velocità ferroviaria (che ha accorciato, in termini di tempi di percorrenza, un paese inevitabilmente troppo lungo). È il sistema a rete delle vie di comunicazione moderne che ha fatto sì che l'area milanese (che ormai sarebbe più opportuno chiamare l'area del Nord Italia) diventasse una ragnatela sulla quale si dispongono le attività produttive che si fertilizzano a vicenda in uno straordinario processo cumulativo.

Oltrettutto, molte di queste infrastrutture non gravano, o gravano in minima misura, sulla finanza pubblica. Quelle autostradali infatti si pagano addirittura da sole attraverso i pedaggi. Esse, oltre che essere gratuite (quando l'investimento è a velocità di crociera), contribuiscono a snellire le comunicazioni che sono sempre più intense, complesse e pesanti nell'età dell'e-commerce in cui i prodotti sono sempre più consegnati direttamente al domicilio dell'utente finale.

Anche in questo caso però, un'agguerrita minoranza pauperistica, adoratrice della decrescita felice, si oppone alla loro costruzione, adducendo motivi ecologici, non potendo invocare quelli economici. E spesso, quando non ha altri argomenti dalla sua, adduce la motivazione che l'autostrada che si deve costruire resterà vuota per mancanza di utenti. Lo si disse, ad esempio, per l'autostrada Torino-Piacenza- Brescia che oggi è letteralmente intasata dal traffico camionistico. Lo si è detto, più recentemente, per la Brebemi (l'autostrada che unisce direttamente Brescia con Milano) che invece nel primo trimestre di quest'anno ha avuto un traffico del 27% superiore rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.

Di Maio adesso propone l'interruzione del traforo franco-italiano del Frejus come se questa decisione fosse facile da fare e il suo smantellamento non comportasse dei costi. L'opera infatti fa parte di un progetto internazionale europeo (dal Portogallo alla Polonia) di collegamento ferroviario dedicato soprattutto al trasporto delle merci. Chi è contro l'inquinamento prodotto dalle autostrade dovrebbe essere favorevole allo sviluppo dei grandi assi ferroviari. Chi è contro entrambi (autostrade e ferrovie) è invece a favore, anche se non vuole ammetterlo, dell'economia da Albero degli zoccoli (di cui al film di Ermanno Olmi) dove la gente camminava a piedi scalzi fin che poteva, mangiava una ciotola di latte con il pane, passava le aringhe sulla polenta per insaporirla un poco (ma l'aringa non la si poteva mangiare perché altrimenti non c'era più niente con il quale insaporire la polenta).

I posti di lavoro si creano con lo sviluppo, scrive Magnaschi. E lo sviluppo viene alimentato, in prima istanza, dall'attività edile. «Se l'edilizia va, tutto va» diceva un motto del passato, valido tutt'ora e non solo in Italia. Da noi: invece l'edilizia è stata strozzata da una serie di decisioni demenziali. E adesso arriva Di Maio a complicare la faccenda, al grido di «Basta con le infrastrutture!» con il quale vuole cancellare anche quel poco che è rimasto in piedi, incurante di una disoccupazione che non si riassorbe e che lui dice di voler alleviare. Ma l'occupazione si promuove con l'aumento delle attività produttive, non con l'assegno di cittadinanza che dovrebbe essere uno strumento di ultima istanza quando, e laddove, la leva dell'occupazione non fosse stata sufficiente.

Di Maio però non si ferma alla Tav. Ho anche precisato che bisogna, non solo bloccare la Tav, ma anche il Mose (il sistema di gigantesche paratie, in gran parte già realizzato, che si propone di eliminare l'acqua alta che corrode Venezia) e le varie pedemontane in realizzazione nell'Italia del Nord, nonché la prosecuzione dell'Alta velocità da Salerno a Reggio Calabria e l'alta velocità sulla costa adriatica fino a Taranto.

Ma bloccare la Tav non è facile: il 30% del suo costo è stata concesso dall'Unione europea che, nel caso di interruzione del progetto da parte dell'Italia, chiederebbe sicuramente la restituzione del finanziamento assieme ai danni. Anche la Francia, continua Magnaschi,  che ha già scavato parecchio sul suo versante, qualora l'Italia cessasse di scavare in direzione della Francia, chiederebbe il danno subito per i lavori fatti, per quelli che si dovevano fare (e non si sono potuti fare) e per il ripristino dei siti. Inoltre le imprese che in Italia si sono aggiudicate i lavori con regolari appalti chiederebbero indennizzi astronomici. Come si vede, la proposta di Di Maio è un vero boomerang che colpirebbe quelle poche ma grandi imprese italiane che sono al top nel mondo nel campo dei grandi lavori. Ma non si sa per quanto tempo ancora. La più grande di esse, la Salini-Impregilo, ha un fatturato che per il 93% è rappresentato da lavori all'estero perché il mercato domestico è asfittico. Ci mancava Di Maio con le sue proposte che strozzano anche l'esistente.

Tags:
opere pubblicheimprese italia





in evidenza
Affari in rete

Guarda la gallery

Affari in rete


in vetrina
Boom per Salone del Mobile 2024 e Fuorisalone: i numeri tornano ai livelli pre Covid

Boom per Salone del Mobile 2024 e Fuorisalone: i numeri tornano ai livelli pre Covid


motori
Opel celebra 125 anni dalla nascita della produzione industriale dell’ auto

Opel celebra 125 anni dalla nascita della produzione industriale dell’ auto

Testata giornalistica registrata - Direttore responsabile Angelo Maria Perrino - Reg. Trib. di Milano n° 210 dell'11 aprile 1996 - P.I. 11321290154

© 1996 - 2021 Uomini & Affari S.r.l. Tutti i diritti sono riservati

Per la tua pubblicità sul sito: Clicca qui

Contatti

Cookie Policy Privacy Policy

Cambia il consenso

Affaritaliani, prima di pubblicare foto, video o testi da internet, compie tutte le opportune verifiche al fine di accertarne il libero regime di circolazione e non violare i diritti di autore o altri diritti esclusivi di terzi. Per segnalare alla redazione eventuali errori nell'uso del materiale riservato, scriveteci a segnalafoto@affaritaliani.it: provvederemo prontamente alla rimozione del materiale lesivo di diritti di terzi.