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Palazzi & potere
Referendum: parla Maddalena, vicepresidente emerito Corte Costituzionale

Su Affaritaliani interviene Paolo Maddalena, vicepresidente emerito della Consulta
 


1) LA COSTITUZIONE COME PATTO FONDANTE DELLA CONVIVENZA CIVILE DELLA COMUNITA’

Il referendum sull’approvazione di una revisione costituzionale approvata dal Parlamento a maggioranza assoluta richiede, come atto sovrano del popolo, un consenso largamente condiviso (si ricordi che la nostra Costituzione fu approvata con 453 voti a favore ve 62 contrari).  Si tratta di confermare o non le norme della convivenza civile di una Comunità nazionale e pertanto deve essere avulso dagli interessi particolari di singoli partiti e deve essere oggetto di uno spassionato giudizio del Popolo il quale deve accertare che la modifica è conforme agli interessi e ai diritti di tutti i cittadini e che siano fatti salvi i principi fondamentali e immodificabili della nostra Costituzione.
In sostanza, il referendum deve “unire” i cittadini e non dividerli su basi politiche, come erroneamente ha fatto (sia pur con contraddittorie smentite) il Presidente del Consiglio dei Ministri, facendo trasformare la consultazione referendaria, da un giudizio su un documento a carattere legislativo, in un giudizio su quanto deciso dal suo Esecutivo e dal suo Parlamento.
E si deve ricordare in proposito che quando si parlò per la prima volta di referendum popolare, il Presidente del Consiglio dei Ministri, Alcide de Gasperi, lasciò i banchi del Governo e andò a sedersi tra i parlamentari per sottolineare che il governo doveva ritirarsi quando la parola passava direttamente al popolo Sovrano. Ed è altresì da ricordare che Calamandrei sottolineò che nella nostra Costituzione “c’è tutta la nostra storia… tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre gioie”, disse insomma che una modifica costituzionale non può essere affrontata a cuor leggero, ma con la consapevolezza di compiere un atto di altissimo valore etico e giuridico.
Fatto estremamente grave è che questa revisione stravolge la vigente Costituzione (cosa che potrebbe fare solo una nuova assemblea costituente) superando i limiti imposti dalla procedura di   revisione costituzionale previsti dall'art. 138 Cost.


2)  GLI INGANNI DELLA REVISIONE COSTITUZIONALE: A CHI GIOVA?

Primo inganno: la forma del quesito referendario

I cittadini, dunque, devono innanzitutto conoscere bene il contenuto della revisione costituzionale e chiedersi, nel contempo, quali sono gli effetti pratici di questa revisione sulla nostra vita politica economica e sociale. La domanda di fondo, in sostanza, deve essere chiara e univoca: occorre in conclusione chiedersi: “quali sono i fini della riforma? E questa riforma a chi giova”?

Purtroppo c’è da rilevare che questa revisione costituzionale è piena di menzogne e di inganni dai quali i cittadini devono difendersi.


Il primo inganno è già nella formulazione del quesito referendario proposto dal governo, che è di questo tenore: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?”. E’ una domanda tautologica, assolutamente ingannevole e, per giunta, contraria a quanto dispone l’art. 16 della legge n. 352 del 25 maggio 1970.
La domanda è tautologica, perché chiunque risponderebbe sì; è ingannevole, poiché molti aspetti contenuti nella revisione (votazione con pochi voti del Presidente della Repubblica, svuotamento del valore del Senato e altri ancora non sono contenuti nella domanda; è illegittima, perché contraria all’art. 16 della nota legge del 1970, in quanto non riporta gli articoli della Costituzione riformati e utilizza il sistema di indicazione, peraltro riassuntiva, del solo titolo della legge, previsto per l’introduzione di norme nuove nella Costituzione, e non , come nel caso in esame, per la modifica di norme già esistenti.


Secondo inganno: la riduzione dei costi

Le giustificazioni apportate dalla propaganda governativa per l’approvazione della revisione sono poi sostanzialmente mendaci. E’ assurdo pensare che la riforma sia motivata da una riduzione dei costi. Innanzitutto non si capisce come una riduzione dei costi possa riguardare l’Organo di massima espressione della democrazia rappresentativa e cioè il Senato. Comunque, come ha dimostrato la Ragioneria Generale dello Stato, il risparmio non è affatto di 500 milioni di euro, come affermato dalla Ministra Boschi, ma di 51 milioni di euro, una cifra irrisoria specie se rapportata all’effetto che produce: una diminuzione, come si è appena detto, della rappresentanza politica a uno dei suoi maggiori livelli.


Terzo inganno: la maggiore efficienza legislativa

Mendace è anche l’affermazione secondo la quale la trasformazione del Senato, ridotto a cento senatori nominati (non si sa ancora da chi) e scelti (a parte i 5 nominati dal Presidente della Repubblica) tra i consiglieri regionali e i sindaci, ridurrebbe i tempi per l’approvazione delle leggi. Infatti, sono previste molte materie nelle quali Camera e Senato devono votare entrambi, ma con procedure diverse: alcuni costituzionalisti parlano di 12 procedure, altri di 6, altri infine di 4. Comunque, il Senato può sempre chiedere di intervenire sulle leggi in corso di approvazione da parte della Camera dei deputati e forte è il pericolo di contrasto di vedute. Per i casi di diversità di vedute, la legge costituzionale di revisione parla di un accordo tra il Presidente della Camera e il Presidente del Senato. Ma se questo accordo (come è molto prevedibile) non si raggiunge, come si definisce la controversia? Sarà necessario ricorrere alla Corte costituzionale con un allungamento dei tempi di almeno un anno.


Quarto inganno: il “cambiamento” necessario al Paese

Ancor maggiormente e profondamente mendace è l’affermazione secondo la quale questa modifica costituzionale servirebbe per cambiare la situazione di stallo in cui si trova la nostra società. E’ esatto l’inverso, poiché questa riforma, come presto vedremo, serve per “mantenere” lo status quo”, non per “cambiarlo”.


3) Il contenuto reale delle modifiche apportate alla Costituzione vigente dalla riforma.

Ciò premesso e venendo alla valutazione del testo che è sottoposto al nostro esame referendario, si dovrebbe dire che, a parte gli innumerevoli errori e contraddizioni che esso contiene, sono tre le reali modifiche che esso, considerato nel suo complesso, apporta alla Costituzione vigente: l’accentramento dei poteri nell’esecutivo; la trasformazione del Senato in una camera di rango inferiore alla Camera dei deputati; l’annientamento (ed è questa la modifica più rilevante) della garanzia costituzionale della revisione costituzionale prevista dall’art. 138 della Costituzione. Ed è da tener presente che la modifica del Senato è espressa a chiare lettere, mentre le altre due modificazioni sono il frutto nascosto di modifiche che hanno oggetti diversi.


L’accentramento dei poteri nell’Esecutivo

Il Presidente del Consiglio afferma, in ogni occasione di confronto, che egli non ha toccato i poteri che già gli spettano ai sensi della vigente Costituzione. E’ vero. Ma bisogna aggiungere che se è vero che non ha toccato gli attuali poteri, egli, con la sua modifica costituzionale, ha modificato tutti i “contrappesi” all’Esecutivo che la vigente Costituzione ha previsto. E cioè ha diminuito i poteri e il valore “rappresentativo” del Parlamento (il Senato è diventato un fantoccio di se stesso), mentre i capilista candidati alla Camera dei deputati sono direttamente nominati dai partiti; ha sminuito il prestigio del Presidente della Repubblica, che, dopo la settima votazione, essendo la maggioranza di 466 deputati, può essere eletto anche solo da 220 deputati; ha inciso negativamente sulla formazione della Corte costituzionale, due giudici della quale sono eletti dal Senato, e cioè da consiglieri regionali o sindaci, (probabili giudici essi stessi) e così via dicendo.


Il nuovo Senato “delle autonomie”
Quanto al Senato, basta leggere il testo della riforma per capire in quale disastro siamo precipitati. La “rappresentanza popolare” è stata completamente abolita, poiché i Senatori sono tutti “nominati”. Il bacino di persone tra le quali devono essere scelti i senatori, è costituito, come si è detto, da consiglieri regionali e sindaci il cui “profilo professionale”, per così dire, è l’opposto di quello che immagina la generalità dei cittadini per la figura del “Senatore”.
La nomina di questi, peraltro, si presta a trattative di ogni tipo e ingenera dubbi sulla opportunità delle scelte. E le critiche, lo si creda, potrebbero continuare all’infinito.


L’annientamento della garanzia costituzionale della revisione costituzionale

Infine la implicita riforma dell’art. 138 è il cavallo di Troia per mezzo del quale diventa facile e persino molto probabile la modifica anche della parte prima della Costituzione, quella riguardante i diritti fondamentali del cittadino, il diritto alla salute, il diritto all’ambiente, il diritto al lavoro, il diritto all’istruzione, e così via dicendo. Infatti, una volta stabilito che non ci sono più due Camere di pari rango, ma una Camera dei deputati e un Senato, la cui formazione non garantisce la presenza in quell’Organo di soggetti effettivamente dotati delle caratteristiche professionali proprie del Senatore, e una volta stabilito che, con l’attuale legge elettorale, può ottenere la maggioranza alla Camera dei deputati, a seguito di ballottaggio, anche il 20 o 25 per cento dei votanti (il che equivale al 12 per cento circa degli aventi diritto), ne consegue che, con il favore di una minima schiera di elettori, il Governo può proporre e ottenere dal Parlamento la modifica dell’intera Carta costituzionale. E’ questo un fatto di una tale gravità che basta da sola a convincere chiunque a votare NO a questo referendum.


4) I MANDANTI DI QUESTA REVISIONE COSTITUZIONALE

C’è da chiedersi, a questo punto, a cosa serve e a chi giova questa modifica costituzionale.
La risposta viene dai diretti interessati, e cioè da un documento di 16 pagine datato 28 maggio 2013 della J.P. Morgan, la quale ha affermato che “i sistemi politici dei paesi del sud, e in particolare le loro Costituzioni, adottate a seguito della caduta del fascismo, presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea”. Insomma, secondo la J.P. Morgan “i sistemi politici della periferia meridionale sono stati instaurati in seguito alla caduta di dittature e sono rimaste segnate da quella esperienza. Le costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste e in ciò riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti della sinistra dopo la sconfitta del fascismo”. Continua così la J.P. Morgan “i sistemi politici e istituzionali del sud presentano le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei Parlamenti; governi centrali deboli nei confronti delle Regioni; tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori” (traduzione da http: //cultura libertà.wordpress.com/).
In altri termini, sarebbe da condividere quanto hanno fatto i Governi Berlusconi, che ha eseguito il programma della P2, Monti, Governo che ha applicato alla lettera le prescrizioni della “troica” e in particolare della Goldman Sachs e Renzi, Governo che, con lo Sblocca Italia, Il Jobs Act, la Nuova scuola e la Riforma della pubblica amministrazione, è venuto incontro alle esigenze della finanza internazionale, sminuendo, e talora annullando, il diritto al lavoro, il diritto alla salute e soprattutto il diritto all’ambiente.
L’ultimo ostacolo alla libera affermazione degli interessi della finanza è costituito dalla vigente Costituzione repubblicana ed è per questo che l’attuale Presidente del Consiglio tiene tanto all’approvazione della “sua” revisione costituzionale.


5) LA GRAVITA’ DELLA SITUAZIONE

Il discorso, come si nota, è a questo punto molto più grave di quello che si vuole fare apparire: si tratta di scegliere, non tra una formulazione o un’altra delle norme costituzionali, ma tra due diverse idee di democrazia, tra due sistemi economici e politici diversi e più propriamente tra il sistema “keynesiano” (presupposto dalla vigente Costituzione), che ci ha assicurato trenta anni di benessere nel secondo dopoguerra, e il sistema “neoliberista”, che dagli inizi degli anni ottanta si sta subdolamente infiltrando nella nostra legislazione democratica, fini al punto di chiedere oggi una sostanziale modifica della Costituzione.


Sistema keynesiano e sistema neoliberista

Si tenga presente che il neoliberismo agisce sottilmente con attendismo e senza proclamazioni di principi. Esso tenta, in buona sostanza a sostituire al principio costituzionale della difesa della dignità della “persona umana” il principio del “massimo profitto” degli speculatori finanziari, ritenendo, erroneamente, che “l’accentramento” della ricchezza e quindi l’annientamento della circolazione monetaria sia un bene da perseguire. In sostanza esso vuole l’arricchimento di pochi e l’immiserimento di tutti gli altri.
Al contrario il sistema keynesiano, al quale si ispirò Roosevelt per la soluzione della prima grave depressione degli anni trenta, punta sulla “redistribuzione” della ricchezza, spargendo su una larga fascia di lavoratori la ricchezza disponibile, in modo che questi vadano ai negozi, i negozi chiedano alle imprese, le imprese assumano e producano, realizzando così un circolo virtuoso nel funzionamento dell’economia reale.
Il voto referendario, dunque, è la scelta tra due sistemi di vita: mantenere il nuovo tipo di società, in larga parte già attuato in modo subdolo e nascosto, offrendo ad esso anche la tutela costituzionale, oppure tornare all’economia keynesiana, che ha ampiamente dimostrato di essere l’unico sistema economico conforme a natura e foriero di benessere per tutti.


L’adeguamento della Costituzione alla volontà della finanza

Qui non si tratta di adeguare la Costituzione formale (la nostra Costituzione repubblicana) ad una Costituzione “materiale” che si sarebbe già affermata. Qui si tratta di piegare la Costituzione vigente alla volontà prepotente della finanza che agisce nell’oscurità e ottiene l’asservimento proditorio della politica e vuole imporre dal di fuori una nuova Costituzione.
La Costituzione materiale infatti presuppone che la generalità dei cittadini abbia espresso con i suoi comportamenti una nuova “opinio iuris ac necessitatis”, un nuovo modo di regolamentare le cose e i rapporti tra i cittadini. Ma quale cittadino ha mai condiviso questo sistema che ha portato a una disoccupazione insopportabile, alla chiusura delle grandi reti di distribuzione, alla privatizzazione delle banche pubbliche e delle industrie pubbliche, alla chiusura delle industrie private e dei numerosi capannoni disseminati in tutta Italia, alla svendita delle isole, delle montagne, dei migliori tratti di costa, dei monumenti artistici e storici di valore inestimabile, alla svendita dell’intero territorio, demani compresi, alla recessione, e a una miseria senza nessuna possibilità di ripresa?
Si badi bene che questo nuovo sistema economico e sociale, nel quale è già caduta irrimediabilmente la Grecia (della quale nessuno più parla) è stato subdolamente attuato con leggi del nostro Stato approvate da politici asserviti alla finanza in modo disorganico, facendo credere che si trattasse di norme di settore, ma che invece sono attuazione di un ben preciso e studiato sistema che ci ha portati tutti alla rovina.


Le tre fasi della strategia neoliberista

Per convincersene, è sufficiente pensare che Il sistema suggerito dalla finanza, e attuato dai nostri politici di turno, passa attraverso tre fasi, accuratamente previste e realizzate nei momenti più opportuni.

La prima fase consiste nella creazione del danaro dal nulla, attraverso la “cartolarizzazione dei diritti di credito”, la “cartolarizzazione degli immobili da vendere”, i “derivati” e altre numerose forme di “prodotti finanziari”, i quali hanno tutti la caratteristica di trasformare in danaro contante delle semplici “scommesse” sul pagamento di debiti o sulla riuscita di determinate operazioni, o addirittura sul verificarsi di imponderabili avvenimenti futuri. Un vero e proprio gioco d’azzardo, con la differenza, però, che la trasformazione di queste scommesse in “titoli commerciabili”, immediatamente vendibili sul mercato ha l’effetto di trasferire sulla Collettività le probabili perdite degli scommettitori. Se vinco, il premio è mio, se perdo i guai sono tuoi (si pensi al Monte dei Paschi di Siena e simili, nonché al “bail in” dell’Unione Europea). Si tenga presente che secondo una statistica del 2010, i derivati erano in totale 1,2 quadrilioni di dollari, venti volte il Pil di tutti gli stati del mondo.

La seconda fase consiste nel far penetrare nell’immaginario collettivo l’idea che la “privatizzazione” dei beni e dei fattori produttivi nazionali, nonché dei servizi pubblici essenziali, sia una cosa benefica per la Collettività. Altro immenso inganno che serve a renderci schiavi delle grandi imprese straniere, che rendono servizi scadenti e funzionano come fonti aspiranti della nostra ricchezza. Possiamo dire che oggi, dopo aver venduto ai privati le banche pubbliche e le industrie di Stato, dopo che abbiamo venduto agli stranieri le migliori industrie private, da quelle meccaniche a quelle alberghiere, siamo davvero diventati poveri, non produciamo più nulla e stiamo vivendo sulla svendita del nostro capitale.

E’ questa la terza fase escogitata dalla finanza per arricchirsi ai nostri danni. Dopo aver inventato con un colpo di genio la “finanza creativa”, dopo aver spinto il nostro Paese alle micidiali “privatizzazioni”, il terzo punto è “l’appropriazione” dei nostri beni reali con l’utilizzo prevalente di quel danaro fittizio che la finanza stessa ha creato dal nulla.
E nessuno può negare che il metodo dell’austerità e del pareggio di bilancio impostoci dall’Europa, ci spinge inevitabilmente a svendere tutto quello che possiamo. In sostanza siamo passati da una economia produttiva, il cui percorso era “finanza (investimento) - prodotto (occupazione e creazione di beni reali) - finanza (profitto dell’imprenditore)”, ad una economia predatoria, il cui percorso è “finanza - finanza (prodotti finanziari) - accaparramento dei beni reali esistenti”. Dunque, nessuna possibilità di occupazione e nessuna possibilità di produrre beni reali. Tutto l’esistente viene portato nelle mani di pochi e tutti gli altri sono sospinti nella più nera miseria.


6) L’ESITO DEL REFERENDUM SCEGLIERA’ IL NOSTRO PROSSIMO DESTINO

Dunque, il prossimo referendum ha molto a che fare con il nostro prossimo destino. Non è dubbio che siamo chiamati a scegliere tra due sistemi economici e politici, il sistema keynesiano che pone al centro il valore della “persona umana” e il “lavoratore” e il “neoliberismo”, che pone al centro il “massimo profitto individuale”. La nostra Costituzione repubblicana è stata scritta presupponendo il primo tipo di società. La riforma costituzionale di Renzi vuole legittimare costituzionalmente quanto si è già realizzato per la creazione del secondo tipo di società, e vuole togliere  ogni ostacolo alla realizzazione di una società nella quale la sovranità spetta, non più ai Popoli, ma  al mercato “globalizzato”, che decide, non razionalmente per il bene dei Popoli, ma irrazionalmente per l’interesse individuale, attraverso il gioco e la scommessa, e disinteressandosi di quanto accade sulla generalità degli uomini. Questa volta non si tratta di un puro e semplice referendum, ma di una scelta epocale, che potrebbe annullare lo stesso concetto di “comunità” e riportarci all’uomo branco di diecimila anni fa.


I trattati transatlantici

E che in ciò si concreti l’aspirazione della finanza è dimostrata, non solo dall’appoggio che la riforma costituzionale ha ottenuto dalla stampa americana e dalla Governo tedesco, ma anche e soprattutto dal fatto che il Parlamento europeo è in procinto di firmare due Trattati internazionali, entrambi appoggiati senza riserve dal Governo italiano: uno con gli USA, il Trattato transatlantico, detto TTIP, e l’altro con il Canada, detto CETA, i quali tendono a superare il principio di precauzione vigente in Europa, secondo il quale non è possibile vendere merci se prima non si prova la loro “non dannosità”, principio ignorato in USA e nel Canada. Il contenuto di questi due Trattati, discussi in grande segretezza (secondo i principi del neoliberismo), consiste nel porre al di sopra delle Costituzioni europee una formula secondo la quale la libertà degli investitori e dei commercianti USA e canadesi è inviolabile e se questi incontrano limiti nei loro investimenti e nei loro commerci a causa di misure legislative poste dagli Stati a tutela della salute, dell’ambiente o di altri diritti dei cittadini, i predetti investitori o commercianti hanno diritto a un risarcimento del danno, determinato da un arbitro nominato da loro stessi.

Non è chi non veda come la nostra revisione costituzionale sia perfettamente in linea con questi principi. Votarla significa distruggere per sempre il nostro futuro. 

                              

                                                                         Paolo Maddalena
Vice presidente emerito Corte Costituzionale

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