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Palazzi & potere
Renxit, Italia batte establishment

Ieri si è dunque compiuta una Renxit. Gli italiani hanno votato contro l’establishment e hanno vinto.

La ricreazione (intesa come attenzione ossessiva al Senato e all’Italicum) è finita, e non sarebbe dovuta neanche cominciare: meno che mai durare così a lungo. Adesso, serve un grande appello al mondo imprenditoriale sano, ai media sani, alle persone libere, che hanno sofferto per mesi nella difficoltà di essere vissuti come “dissonanti” rispetto all’Italia “ufficiale”. La Convenzione Blu, l’iniziativa di Raffaele Fitto e di tanti di noi, serve anche per offrire a tutti loro un luogo, un’occasione e una casa politica per organizzarli e organizzarci, in collegamento con la grande famiglia europea liberalconservatrice.

Non facciamoci intenerire dal “concession speech” pronunciato stanotte a Palazzo Chigi. Il pokerista Renzi aveva tentato un clamoroso “all in”, ma ha perso tutto. E mancava solo che non riconoscesse il tracollo.

Soldi a valanga (a proposito, chi ha pagato?); tv asservite alla venezuelana; mobilitazione confindustriale e di establishment; giornaloni ridotti a volantini elettorali; “scare-tactics” e menzogne a go-go. Non gli sono bastate. La rottamazione si è compiuta ovunque, da Nord a Sud: ai suoi danni, però.

Ma questo importa fino a un certo punto: affari suoi, di chi lo scelse (da Napolitano in giù), dei poteri che lo hanno sostenuto, e di un partito nel quale inizierà una prevedibile resa dei conti.

Qui invece, per questo piccolo osservatorio, importano altre cose:

1.   Si è conclusa una campagna illegale (par condicio stuprata, autorità di garanzia assenti, ecc.), divisiva, inutile, e soprattutto distraente. L’emergenza dell’Italia non era il suo Senato, né tantomeno l’Italicum. Renzi ha sciupato tre anni magici (grazie al Quantitative Easing, al petrolio basso, al rapporto euro-dollaro), nei quali avrebbe dovuto occuparsi di tasse-spesa-debito-banche. E invece si è perso in una playstation di palazzo.

2.   L’Italia deve prepararsi ad affrontare uno dei semestri più difficili della sua storia repubblicana, roba simile al secondo semestre del 1992. Il quadro mondiale è difficile: rialzo del petrolio, rialzo dei tassi, tensioni migratorie, rischio terrorismo, un calendario elettorale europeo che farà di noi –sui mercati – l’anello debole. A questi fattori esogeni si aggiungeranno i fattori endogeni, devastanti come sappiamo: banche sull’orlo del fallimento, debito pubblico alle stelle, economia allo stremo. Qui si gioca la partita, altro che le chiacchiere (già iniziate) sulla legge elettorale.

3.   Gli elettori non ne possono più. L’Italia ha 1 milione di minorenni che vivono sotto la fascia di povertà: 10 anni fa erano 300mila. I maggiorenni poveri sono 4milioni e mezzo, quelli appena sopra la soglia sono altri 10 milioni. Un immenso ceto medio basso che soffre, che non ce la fa, le cui preoccupazioni sono sistematicamente espulse dall’agenda politica e mediatica “ufficiale”.

4.   Il centrodestra è al bivio. O lancia subito elezioni primarie con una (vera) gara di idee e proposte di governo, oppure sarà matematico un derby indigeribile tra M5s e ciò che resterà del Pd. Anche Berlusconi (chiacchiere e scenette a parte) è tra gli sconfitti: alla fine, a mezza bocca, ha detto di votare No, ma le sue tv hanno selvaggiamente lavorato per il Sì. Ora o si volta pagina, oppure il centrodestra sarà fuori partita per molti anni. Il vecchio Nenni, in tutt’altro contesto, diceva: “Rinnovarsi o perire”. Aveva ragione.

5.   No alla palude proporzionalista. Primo: è paradossale che proprio il Cav, artefice per vent’anni della svolta maggioritaria e della “scelta di campo”, voglia riportarci ai governi formati dopo il voto alle spalle degli elettori. Secondo: se qualcuno pensa, per questa via, di “aggirare” il problema dei Cinquestelle, si sbaglia di grosso. Anzi, una volta di più l’establishment trasmetterebbe un segno di paura, di panico, favorendo proprio la “narrazione” grillina: la necessità di votare M5S proprio contro il fortino assediato dei partitini della proporzionale, pronti al governicchio solo in funzione anti-grillina.

Daniele Capezzone
Deputato Conservatori e Riformisti
d.capezzone@gmail.com
@capezzone

Tags:
dimissioni renzidimissioni renzi referendum no vittoria





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