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Palazzi & potere
Samorì is back! Il ritorno con le primarie

Che anno sarà per la politica italiana? Elezioni si o no? 
Premetto di ritenere che le elezioni Politiche si terranno alla scadenza naturale del mandato e cioè nel 2018. La prima parte dell’anno sarà caratterizzata da un dibattito per niente sentito dalla popolazione sulla legge elettorale da adottare che, alla fine, risulterà di tipo maggioritario con ampie quote di riserva proporzionale.
Da settembre inizierà il vero e proprio dibattito politico, molto importante perché noi stiamo vivendo un periodo di trasformazione epocale delle quali fatichiamo a percepire il punto di caduta e che, nonostante quanto i più pensino, necessita di una chiara visione ideologica.
La scelta è tra due modelli. Quello, purtroppo, nel quale ci stiamo incamminando di tipo sostanzialmente stalinista che vede la supremazia assoluta dello Stato e del pubblico sull’individuo, la concentrazione della ricchezza in un numero sempre più ridotto di persone e del potere istituzionale nelle mani delle strutture burocratiche, delle autority e dei soggetti che occupano ruoli pubblici dirigenziali.
Resta abbandonato a se stesso, in questo schema ed in piena sofferenza il ceto medio produttivo e si assiste ad un appiattimento verso il basso delle capacità di reddito di commercianti, artigiani, piccoli imprenditori, agricoltori, professionisti di vario genere, essendosi già impoveriti e da anni i dipendenti.
L’altro modello ideologico, che dovrebbe essere quello di un area di centro destra illuminato ed avanzato è del tutto incompatibile col modello attualmente imperante.
Passa dal ribaltamento del rapporto tra le istituzioni e il cittadino ad ogni livello, maturando la consapevolezza che il pubblico è al servizio del privato e non viceversa.
Potrebbero declinarsi mille esempi ed è sufficiente citarne uno solo, l’Università che deve vedere i professori al servizio degli studenti che ne sono i fruitori e che non dovrebbero correre dietro ai docenti per pietire una tesi e così via.
Ma soprattutto passa per un riequilibrio del benessere con una fortissima riduzione fiscale per i redditi medi e un contributo straordinario, ma compensativamente significativo, da parte di chi è veramente ricco cioè di chi dispone di patrimoni netti da debiti superiori ai 10 milioni di Euro.
Ed ancora questo modello postula una forte deregolazione, una enorme semplificazione amministrativa e, conseguentemente, di personale politico, soprattutto parlamentare, che essendo in grado di comprendere le leggi che approva ricominci finalmente ad emanare norme di diretta applicazione, evitando il costante rinvio a regolamenti attuativi ministeriali, vero strumento con il quale la burocrazia frena il cambiamento ed afferma la propria visione sociale, molte volte contrastante con lo stesso spirito della legge.
Ed infine in questo quadro sta una particolare attenzione non alle banche, che sembrano diventate l’oggetto principale della cura dei governi e dei partiti, ma al credito che manca e che soprattutto manca per i giovani che non sono così messi in grado di sviluppare le innate qualità imprenditoriali che molti hanno. Producendosi così un fenomeno assai pernicioso, il blocco dell’ascensore sociale e, a tendere, una desertificazione imprenditoriale conseguente alle vendite delle aziende mature a fondi a gruppi internazionali, senza la nascita di nuove realtà.
Si tratta di temi forti che solo una classe politica di centro destra culturalmente attrezzata e legittimata dal basso può sostenere e ancor prima far comprendere ad una platea sterminata di possibili elettori che non sono più disponibili a ridare fiducia se gli schemi proposti saranno una classe dirigente nominata in vertici tra due o tre persone e un programma che stancamente riproduca modelli di un passato, in allora giusti, ma oggi superati dal fortissimo cambiamento che la crisi ha impresso alla Società.
Si pone perciò centrale il tema delle primarie per la scelta della leaderschip, delle quali in molti hanno paura perché i risultati sono imprevedibili, mai scontati, ma sempre salvivici a motivanti.
Le recenti esperienze di TRUMP e della Francia sono illuminanti.
Io non posso in alcun modo determinare la loro indizione, ma per certo, se verranno indette, darò un contributo attivo vuoi appoggiando il candidato più vicino a questi valori, vuoi, se del caso, candidandomi personalmente.


In America arriva Trump; cambierà veramente qualcosa?
L’arrivo di TRUMP in America non produrrà dei cambiamenti epocali, perché il sistema americano è molto stabile e i margini di manovra dei vari Presidenti si riducono a variazioni sul tema.
E’ difficile per noi Europei comprendere la mentalità americana ed è per noi difficile comprendere cosa concretamente farà il nuovo Presidente. Penso che convenga attendere un anno per una prima valutazione, perché la Presidenza TRUMP potrebbe riservare importanti sorprese, tanto di segno positivo che negativo.

 

L’Europa appare sempre più ad un bivio; cambiare o morire. È proprio così? E come dovrebbe cambiare?L’Europa è stata costruita in via per così dire provvisoria sulla finanza e quindi sulla moneta, la cui gestione è stata in esclusiva affidata ad un organo tecnico che non risponde a nessuno se non a se stesso.
Questa scelta se nel 1991 poteva aver senso in vista di un progressivo sviluppo politicamente unitario dell’unione, ha dimostrato da sola di essere financo controproducente esasperando le divisioni e aumentando le disparità tra le varie Nazioni.
Ora il punto da risolvere è del tutto ideologico / antropologico: sono i vari popoli che compongono l’unione culturalmente pronti per sentirsi prima europei e poi italiani, tedeschi e francesi ecc.
Se sì, occorre accellerare il processo di realizzazione dell’unione politica con tutto quello che ne consegue sul trasferimento della sovranità nazionale.
Se no, è meglio tornare indietro, riperimetrare con più precisione i limiti dell’integrazione europea ed offrire maggiori spazi alle autorità nazionali per non soffocare autoritativamente le specificità nazionali in attesa che culturalmente, grazie agli interscambi ad una cresciuta mobilità, le nuove generazioni arrivino ad offrire risposta positiva al quesito di cui sopra.
Nel frattempo, se si vuole evitare che l’idea stessa dell’Europa deflaghi, occorre che le nazioni più ricche accettino di farsi carico del sostegno e dello sviluppo di quelle meno brave o meno fortunate.
Come per ogni Società la pacifica convivenza presuppone che non si esasperino le differenze economiche tra i suoi vari membri, perché quanto più di un popolo sarà troppo impoverito rispetto agli altri, tanto più verrà meno l’interesse a stare insieme.

Tags:
gianpiero samorì





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