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Palazzi & potere
Scalfari su Repubblica paragona Renzi a Giolitti e forse ha ragione

Scalfari su Repubblica paragona Renzi a Giolitti e forse ha ragione. ma attenzione perché dopo Giolitti arrivò Mussolini (e prima ancora Giolitti fu costretto alle dimissioni per lo scandalo della Banca Romana).

C'è un altro tema che mi sono posto: a chi somiglia veramente Renzi? Non sono certo il primo a porre questa domanda. Molti hanno scritto che somiglia a Berlusconi, altri addirittura a Craxi. Anch'io ho colto alcuni tratti di somiglianza a Berlusconi e qualcuno anche con Craxi. Ma il vero personaggio cui somiglia molto credo che Renzi non lo sappia: si chiama Giovanni Giolitti. Mi direte che è un paragone di troppo alto livello e certamente è così, ma per alcuni aspetti fondamentali queste due figure che distano di quasi due secoli tra loro si comportano in modi analoghi.

Giolitti nacque nel 1842 e morì a ottantasei anni nel 1928. Dopo un lungo tirocinio nel ministero delle Finanze entrò decisamente nell'agone politico nel 1892. Da allora fu uno dei maggiori esponenti della politica italiana pur senza mai far parte di un partito. La sua posizione era ispirata genericamente ad un liberalismo progressista e la maggioranza di cui dispose alla Camera fu quasi sempre molto elevata. Per mantenerla tale cambiò spesso le sue alleanze. Guardò contemporaneamente al capitalismo industriale e alle classi lavoratrici, favorendo incentivi alle imprese e decenti livelli ai salari. Cercò di ottenere l'appoggio dei socialisti riformisti in genere, di Turati in particolare. Nel Mezzogiorno appoggiò clientele e proprietari terrieri guadagnandosi l'insulto politico di Salvemini che chiamò il suo governo "ministero della malavita" ed "ascari" i suoi sostenitori meridionali.

Quando il Partito socialista e le organizzazioni sindacali operaie sentirono sempre più un orientamento di sinistra, soreliano, massimalista e rivoluzionario, Giolitti si alleò con il primo gruppo di cattolici democratici gestito da Gentiloni (avo dell'attuale nostro ministro degli Esteri).

Quando gli operai della Fiat occuparono la fabbrica a Torino, tentò e riuscì a trovare un compromesso tra le due parti. Fu contrario all'entrata in guerra dell'Italia e neutralista, lasciò ovviamente il governo alla destra italiana ma lo riprese nel 1920. Fece sgombrare D'Annunzio da Fiume ma tollerò le violenze degli squadristi fascisti sperando di poterli assorbire gradualmente nella sua maggioranza politica. A questo fine favorì l'ingresso alla Camera nella sua maggioranza dei trenta deputati fascisti nel 1921. Ma si ritirò definitivamente dalla politica dopo la marcia su Roma e la nascita del Regime.In conclusione un partito giolittiano fu un vero e proprio partito della Nazione, che oscillava tra una destra e una sinistra moderate, con ancoraggio sostanzialmente centrista e un Capo unico che era lui. Il giolittismo e il renzismo. Il primo al livello dieci, il secondo al livello cinque. Ma la vera analogia è quella del Paese. Il nostro è un Paese percorso da un fiume sotterraneo, sempre latente e spesso emergente dove domina una corrente su tutte le altre: purché ci sia libertà privata si accetta la dipendenza pubblica. E quindi corruzione diffusa, clientele diffuse, interessi particolari diffusi. Scarsi ideali, scarsi valori, fortemente sentiti ma da piccole minoranze.

Il problema è sapere se chi comanda tutelerà l'interesse generale o il proprio potere.

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