A- A+
Palazzi & potere
Scuola: migliaia di studenti italiani sacrificati sull'altare di Macron

È dalla fine della seconda guerra mondiale (ma il processo era già crescentemente inarrestabile subito dopo la fine della prima) che il francese (che peraltro, a scanso di equivoci, è la mia seconda lingua madre) ha cessato di essere una lingua internazionale, cioè spendibile in tutto il mondo, scrive Pierluigi magnaschi su Italia Oggi. Ad esempio, quarant'anni fa, feci parte di una missione giornalistica internazionale in una Cina ancora intorpidita ideologicamente. La compagnia di giornalisti era servita da un interprete che traduceva in inglese per tutti. Nella comitiva trovai un mio vecchio amico, un bravo collega francese che però sapevo che conosceva solo la sua lingua madre. Gli chiesi come prevedeva di sbrogliarsela non conoscendo l'inglese e, men che meno, il cinese. Lui, disinvolto, mi disse subito: «In Cina c'è un sacco di gente che conosce il francese, me la caverò benissimo».

Purtroppo per lui (e anche per me), pur muovendoci nelle alte sfere politiche, economiche e culturali cinesi di allora, non incontrammo nessuno, dicono nessuno, già allora, che sapesse il francese. Per cui il collega me lo dovetti caricare sulle spalle dovendogli, per amicizia, tradurre ciò che l'interprete ci diceva. Dal lungo viaggio il collega francese tornò non solo rintronato ma anche con la coda tra le gambe.

In Francia, continua Magnaschi, l'illusione che bastasse conoscere il francese per poter dialogare con il mondo durò a lungo anche se molto meno che in Italia e con più evidenti interessi. Il mio amico Jean Boissonat (di gran lunga il più bravo giornalista economico francese dagli anni dal '60 al 2010) conosceva stranamente solo il francese. Peraltro non era il solo monolingue francese anche ai livelli molto alti. Ma lui era nato nel 1929. Oggi sarebbe impossibile. Si può infatti essere sicuri che oggi chi ha 40 anni in Francia e non sa l'inglese non conta niente. Non a caso, a Parigi le scuole bilingui (francese-inglese) sono sorte come i funghi. Inoltre nelle università i corsi solo in inglese sono numerosissimi e chi può permetterselo va a studiare in America. E altrettanto non a caso, mentre Mitterrand non sapeva assolutamente l'inglese, Macron lo conosce perfettamente e così era anche Hollande, il suo predecessore all'Eliseo, che lo conosceva ancora meglio.

Facciamo un salto all'altroieri, al vertice del G7 in Canada. Che lingua parlavano i big del mondo sviluppato, quando discutevano fra di loro a pranzo, o camminavano sul prato per farsi fare le photo opportunity? È semplice, gli esponenti americano, tedesco, giapponese, lussemburghese, italiano e canadese parlavano in inglese. Anche in questi contesti infatti chi non sa l'inglese è tagliato fuori. Le lingue aggiuntive sono gradite ma non sono necessarie e, in ogni caso, non sono sostitutive dell'inglese. E tra il sapere così così un paio di lingue straniere e sapere bene il solo inglese non c'è dubbio, largamente preferibile questa seconda ipotesi.

Mentre il mondo (specie quello delle comunicazioni istantanee, in sostanza quello del web, cioè quello di oggi e del futuro) parla in inglese, in Italia il governo, tramite il ministero della istruzione, continua ad obbligare centinaia di migliaia di studenti della scuola media inferiore a studiare il francese come prima lingua straniera. Un obbligo, questo, che li condannerà alla marginalità professionale e, conseguentemente, sociale. Gli studenti che sono costretti (si noti il verbo: costretti) a studiare il francese come prima lingua nella scuola media, si dividono in due categorie. I figli dei ricchi o della classe media che potranno recuperare l'handicap linguistico a loro spese, cioè apprendendo l'inglese con le lezioni private. Mentre i figli delle famiglie più povere, non potendosi permettere lezioni private, saranno privati della conoscenza della lingua indispensabile per poter lavorare negli anni della loro maturità. Una scelta di questo tipo contravviene quindi (e la fa in modo clamoroso) alla «uguaglianza dei punti di partenza» di einaudiana memoria, che sta alla base delle pari opportunità culturali.

Stupisce quindi che i partiti di sinistra, che alla Camera si indignano fino a strafogarsi (non è vero Del Rio?) perché il premier Conte non conosce il nome di battesimo del fratello del presidente Mattarella assassinato dalla mafia ma non dicono una parola contro il massacro delle generazioni più umili a vantaggio solo delle ambizioni francesi sul nostro paese, da noi mai contrastate in difesa degli interessi italiani. E che cosa fanno i sindacati (specie quelli confederali che, In Italia, sono abituati a mettere il naso su qualsiasi cosa anche molto lontana da quella che dovrebbe essere la loro missione) e che invece restano, anche loro, su questo tema formativo strategico, muti come dei pesci?

E dove sono i partiti del ceto medio e della piccola borghesia che pure sanno perfettamente, per esperienza quotidiana, che senza la conoscenza della lingua inglese oggi non si va lontano? L'inglese infatti è uno strumento, cioè una conoscenza per poter acquisire altre conoscenze. È inoltre un utensile culturale evergreen, sempre verde, nel senso che una volta che lo si è imparato, la sua conoscenza, se costantemente mantenuta attraverso l'esercizio, può essere messa a frutto per tutta la vita. Tutti questi italiani hanno forse paura di far impermalosire Emmanuel Macron? E non si vergognano di imbrogliare e imbrigliare (in nome di che cosa, poi?) i loro giovani concittadini meno favoriti?

Il ministero dell'istruzione, se operasse a beneficio dell'intero paese e dei giovani studenti delle scuole medie, dovrebbe quindi prevedere al più presto, con un'apposita legge, per questo ordine di scuole, lo studio di una sola lingua straniera (l'obbligo della doppia lingua è stato un escamotage per far rientrare dalla finestra il francese che era stato cacciato dalla porta dai genitori indignati) e questa unica lingua straniera (nelle scuole medie inferiori, ripeto) deve essere l'inglese (salvo alcune eccezioni locali molto particolari).

Visto che l'imposizione del francese, non nel 1815 ma nel 2018 a danno dell'inglese, non solo è allucinante ma esprimerebbe anche una stupidità immensa che sarebbe inconcepibile in un Ministero che si qualifica dell'istruzione, c'è da supporre che lo Stato italiano abbia stipulato un contratto segreto (e unilaterale, cioè di piena sudditanza da parte dell'Italia) con Parigi che ci obbliga a fare questa assurda scelta. Ma se questa ultima ipotesi fosse vera, la situazione sarebbe ancor più inaccettabile, connotando ufficialmente l'Italia come lo zerbino della Francia. C'è da sperare che qualche partito politico si faccia vivo in difesa delle giovani generazioni che, degli interessi di Macron (che non sono i loro e nemmeno quelli dell'Italia) se ne fanno giustamente un baffo.

Tags:
scuolamacronfrancia





in evidenza
Affari in rete

Guarda la gallery

Affari in rete


in vetrina
Djokovic re del tennis e del vino: "Produciamo syrah e chardonnay"

Djokovic re del tennis e del vino: "Produciamo syrah e chardonnay"


motori
Ayrton Senna Forever: Omaggio al Campione al MAUTO

Ayrton Senna Forever: Omaggio al Campione al MAUTO

Testata giornalistica registrata - Direttore responsabile Angelo Maria Perrino - Reg. Trib. di Milano n° 210 dell'11 aprile 1996 - P.I. 11321290154

© 1996 - 2021 Uomini & Affari S.r.l. Tutti i diritti sono riservati

Per la tua pubblicità sul sito: Clicca qui

Contatti

Cookie Policy Privacy Policy

Cambia il consenso

Affaritaliani, prima di pubblicare foto, video o testi da internet, compie tutte le opportune verifiche al fine di accertarne il libero regime di circolazione e non violare i diritti di autore o altri diritti esclusivi di terzi. Per segnalare alla redazione eventuali errori nell'uso del materiale riservato, scriveteci a segnalafoto@affaritaliani.it: provvederemo prontamente alla rimozione del materiale lesivo di diritti di terzi.