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Palazzi & potere
Trump tra "fascismo antifascista" e deriva "italiana"

Inutile girarci intorno: non è partita bene l’avventura dell’amministrazione Trump. Polemiche furiose, prevalenza di liti e veleni su un operoso fare, un’atmosfera mefitica sia intorno a lui sia nel campo avverso.

Lui ha le sue responsabilità. Il temperamento dell’uomo è quello che è: egomaniaco, divisivo, rude oltre il necessario e l’opportuno, sempre desideroso di sottolineare il suo ruolo dominante, lontano dall’approccio reaganiano “it’s morning again in America”, quando la Casa Bianca proiettava una luce di speranza e ottimismo su amici e avversari.

Ma – sia detto con brutale chiarezza – le responsabilità più gravi cadono, a mio avviso, sui suoi avversari. Su un establishment democratico che non si rassegna, più ancora che alla sconfitta, alle ragioni di quel risultato. E’ come se ci fosse un invincibile desiderio di rimuovere l’impostore, l’usurpatore, l’occupante abusivo: a cui non può essere concesso nemmeno un inizio di mandato. E’ un caso da manuale di “fascismo antifascista”, di intolleranza sotto le insegne della pretesa tolleranza.

Intendiamoci bene, a scanso di equivoci. La vicenda delle interferenze russe nella campagna elettorale Usa va chiarita. E lo dovremmo capire anche qui in Europa, dove Putin ha già installato una poderosa e capillare macchina di propaganda. Per quanto appaia paradossale, il senso della Guerra Fredda non l’abbiamo imparato e digerito noi (i presunti vincitori), ma gli sconfitti, l’apparato ex Kgb, che oggi maneggia in modo efficace e pericoloso sia la deterrenza militare sia l’arma mediatica. E quindi, tornando agli Stati Uniti, è sacrosanto che si vada fino in fondo per capire se e quale sia stato il ruolo russo in questi ultimi mesi e anni.

Tuttavia, allo stesso modo, desta preoccupazione l’idea che il “deep state” americano (termine con cui si indica il complesso degli apparati pubblici, della macchina amministrativa, inclusi magistratura e intelligence) si stia attivando per minare e magari rovesciare un presidente democraticamente eletto. Una eccellente e documentatissima analisi di Federico Punzi su L’Intraprendente (la trovate qui: http://www.lintraprendente.it/2017/02/chi-ha-ucciso-il-soldato-flynn/ ) mette in fila fatti e circostanze, e non è una lettura rassicurante.

Non rassicura perché mostra una deriva tutta “italiana”: un mix di intercettazioni e sputtanamenti, di raccolta opaca di informazioni e di leak sapientemente distillati a mezzo stampa.

Forse se ne esce solo con lo strumento proposto sabato scorso sul Wall Street Journal da Peggy Noonan, una delle prime a capire e a non demonizzare il fenomeno Trump come “rise of the unprotected”, come ribellione/emersione/insurrezione di ceti medi e medio-bassi impauriti, impoveriti, non protetti. La Noonan suggerisce a Trump di chiedere lui un’inchiesta parlamentare a tutto tondo: sia sulle interferenze russe sia sui leak illegali.

Una chiarificazione competa (costi quel che costi) è l’unico modo per uscire dalla palude.


Daniele Capezzone
Deputato Direzione Italia
d.capezzone@gmail.com
@capezzone

Tags:
donald trump





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