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Palazzi & potere
TURCHIA, PARLA PAOLO MAGRI, DIRETTORE ISPI

Fu vero golpe?

A giudicare da come si sono evoluti i fatti, credo si possa effettivamente parlare di un reale tentativo da parte di settori deviati delle Forze Armate di condurre un colpo di Stato, rovesciare l’attuale governo e instaurare un regime militare (probabilmente transitorio). Del resto, ciò sarebbe in linea con quanto accaduto già altre volte nella storia del Paese. La Turchia è stata testimone di tre colpi di Stato nel 1960, 1971 e 1980, senza contare il cosiddetto “colpo di Stato post-moderno” del 1997, quando i militari minacciarono di intervenire direttamente qualora l’allora Primo ministro Necmettin Erdogan non si fosse dimesso. Piuttosto, sembra che il tentato colpo di Stato sia stato orchestrato male e i perpetratori abbiano peccato di eccessivo ottimismo, oltre a commettere alcuni errori “strategici”. Dietro al tentato golpe vi sono stati pochissimi ufficiali di alto livello, segno che le alte gerarchie militari (peraltro in parte sostituite dallo stesso Erdgoan nel corso degli ultimi anni) ancora sono dalla parte del Presidente. Con il fallimento del colpo di Stato, come prevedibile, la reazione di Erdogan è stata – e sarà – durissima e possiamo prevedere un ulteriore giro di vite contro le opposizioni interne.

 

Che ruolo sta cercando di ritagliarsi (o vorrebbe) Erdogan con la sua Turchia nei confronti dell'Europa e del mondo?

In questo momento, il Presidente turco sembra essere più concentrato sul piano interno, che su quello regionale o internazionale anche se è ovvio che ciò che sta accadendo in Turchia potenzialmente potrà avere delle ripercussioni anche sulle relazioni esterne di Ankara.

Nonostante i proclami e le proteste dell’Europa e di altri Paesi esteri, non sembra che al momento siano messi in discussione alcuni capisaldi della politica estera turca, come l’adesione alla NATO e il ruolo di Ankara nella lotta al terrorismo. Dall’altro lato, lo stesso Erdogan dovrà però essere in grado di ricostruirsi un’immagine agli occhi della comunità internazionale. Fino al 2011, anno dello scoppio delle cosiddette “Primavere arabe”, la Turchia veniva additata da molti come un modello di Paese democratico governato da un partito di ispirazione islamica. A distanza di soli 5 anni, sono evidenti i deficit di democrazia, così come i fallimenti di Ankara nel presentarsi come mediatore delle crisi mediorientali. Al contrario, dalla Siria all’Iraq, dall’Egitto alla questione curda, oggi la Turchia sembra essere in una posizione molto più isolata.

 

C'è il rischio di altri golpe o che qualcuno a questo punto tenti di liberarsi di Erdogan con la violenza?

Alla luce di tutte le misure di sicurezza che il governo turco sta prendendo, vedo molto difficile che, almeno nel breve-medio termine, si possano immaginare altri tentativi di rovesciare l’ordine costituito. Ciò, però, non vuol dire che la Turchia possa dirsi al sicuro da possibili nuove ondate di violenza. La polarizzazione delle diverse posizioni potrebbe sfociare in nuovi scontri, mentre resta sempre aperto il fronte interno del Kurdistan. Dall’estate scorsa, quando è stato interrotto il cessate-il-fuoco tra i guerriglieri del PKK e il governo di Ankara, nelle regioni sudorientali della Turchia è nuovamente in corso una vera e propria guerra a bassa intensità, che ha già provocato in un anno più di 1.700 vittime (secondo le ultime stime dell’International Crisis Group). Non è escluso che, in un clima sempre più teso, le minoranze curde possano subire violenze diffuse, così come che il PKK possa aumentare le proprie azioni contro le forze di sicurezza turche.

 

È molto forte l'interscambio economico tra Turchia e Occidente: tutto ciò potrà risentirne?

In questi casi, solitamente le relazioni economiche e politiche viaggiano su due binari diversi. E’ difficile che le relazioni commerciali ed economiche tra la Turchia e i Paesi occidentali possano risentire di questa crisi in maniera sensibile. L’Europa risulta imbrigliata soprattutto per via dell’accordo sui migranti che ha stretto con il governo di Ankara, mentre gli Stati Uniti non possono prescindere dall’appoggio turco per la loro campagna contro l’ISIS in Siria e Iraq. Inoltre, ancora prima dell’attuale crisi scaturita dal tentativo di golpe della scorsa settimana, la Turchia aveva compiuto due importanti passi in politica estera, giungendo a una distensione dei rapporti con Israele e con la Russia e incrementando le sue possibilità di costruire nuovamente una rete di relazioni più ampia, oltre ai rapporti con l’Occidente.

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paolo megri





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