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Palazzi & potere
UE, la vecchia Europa unita non regge più: urgono riforme
Foto LaPresse

L’Europa, è inutile nascondercelo, è nata da una grande idea («Mai più guerre sul Vecchio continente dopo quelle, sempre più sanguinose, del 1875, del 1914 e del 1939») ma, nonostante questa idea, si è sviluppata stortignaccola. I suoi esordi sono stati giustificati da finalità economiche comuni a tutti i paesi che ne facevano parte (la Comunità del carbone e dell’acciaio), la Comunità si era via via irrobustita in campo politico, ma in modo rachitico passando dal Mec, alla Cee, alla Ue, scrive Pierluigi Magnaschi su Italia Oggi.

Nei primi decenni di vita, il volante dell’Unione europea era saldamente in mano alla Francia, mentre l’altro grande paese europeo, la Germania, era completamente ripiegato su se stesso, travolto dalla vergogna insuperabile di aver innescato la seconda guerra mondiale e travolta dall’obbrobrio inconcepibile e imperdonabile della Shoah, cioè del genocidio del popolo ebraico. In Europa quindi la Germania, fino a tutti gli anni Settanta del secolo passato, si era fatta quasi completamente sostituire dalla Francia che era il paese pivot in Europa. La Germania, per quanto diventata, nel frattempo,  economicamente potente, restava, a livello europeo, una sorta di sleeping partner, cioè di socio dormiente.

Oltretutto, fino al crollo del Muro di Berlino, la Germania era ancora, non dimentichiamocelo, un paese occupato dalle quattro potenze vincitrici della seconda guerra mondiale (Usa, Urss, Uk, che l’avevano vinta grazie ai loro soldati e alle loro armi, e la Francia, che invece l’aveva vinta grazie ai discorsi infuocati di Charles De Gaulle dai microfoni di Radio Londra. In quegli anni, qual è stato il ruolo dell’Italia a livello comunitario? Quando nei tardi anni Sessanta bazzicai dalle parti di Bruxelles, io, come giovane italiano, provavo un’assoluta vergogna. Quasi tutte le direzioni generali erano in mano agli stranieri e soprattutto ai francesi chefacevano il bello e il cattivo tempo a livello continentale. Gli italiani invece avevano piazzato in Europa solo dattilografe, fattorini, autisti e, quando andava bene, interpreti.I pochi nostri dirigenti, visto che essi, come italiani, non facevano carriera e soprattutto non venivano considerati professionalmente validi perché erano ritenuti espressione di un paese che, quando andava bene, veniva definito levantino, ben presto, anziché tutelare, salvo qualche lodevole eccezione, a Bruxelles o a Strasburgo, gli interessi italiani, si infilavano in cordate internazionali più redditizie, com’è del resto un nostro secolare costume.

Da questo punto di vista, e va segnalato come positiva anomalia, Mario Draghi è una felice eccezione. Non nel senso che favorisce il suo paese, l’Italia, ma perché non lo danneggia. Del resto è noto a chiunque abbia anche una minima esperienza internazionale, dallo stage Erasmus ai dottorati di ricerca, gli italiani sono gli unici che, all’estero, denigrano pubblicamente e allegramente il loro paese mentre per gli anglo-americani vale sempre, direi automaticamente, il motto I will stand by my country whatever it be right or wrong, io sosterrò il mio Paese giusto o sbagliato che esso sia. Con il crollo del Muro di Berlino, i tedeschi, liberatisi dalla forze di occupazione alleate, e diventati economicamente ingombranti, non hanno chiesto subito una rappresentanza politica evidente e palese, a livello europeo, ma hanno furbescamente continuato, come le vecchie talpe, a scavare in silenzio ma anche sempre più freneticamente nel sottosuolo comunitario, infilando,  dovunque fosse possibile, i loro uomini.

Tino Oldani, a pag. 6 di questo numero di ItaliaOggi aggiorna fino alle vicende di queste ultime settimane, la crescita egemonica della Germania in tutti i gangli che contano dell’edificio comunitario.Che la Ue debba essere ridiscussa (non per distruggerla come pensa il Presidente Mattarella) ma perché sia più robusta, è necessario che sia rimessa in discussione, anche sul piano simbolico, oltre che su quello sostanziale. Ad esempio, anche adesso, i grandi appuntamenti comunitari vengono sempre presieduti da summit franco-tedeschi. In pratica, la Comunità a 27 paesi viene anche visibilmente costruita sulla base delle esigenze di due paesi (Francia e Germania) che, una volta definite vengono approvate, quasi sempre senza fiatare, dagli altri. Ecco perché uno degli obiettivi da raggiungere è l’abolizione dei vertici franco-tedeschi che sono l’opposto di ciò che dovrebbe essere lo spirito comunitario che dovrebbe invece essere basato sulla collaborazione e non sulla soggezione.In questi ultimi mesi, come effetto della crescita politicaoltre che economica della Germania, è andato però in crisi anche l’asse di Berlino con la Francia.

Quindi il tradizionale tavolo di gioco europeo, indebolito sui due paesi architrave, contestato dai paesi del gruppo Visegrad (gli ex paesi est europei un tempo dominati dall’Urss), messo in discussione dai paesi mediterranei, comincia a essere un àmbito conteso, cioè nel quale non domina più egemonicamente una burocrazia telecomandata da Berlino e Parigi, ma è diventato un’entità policentrica, dove, signorsì e vivaddio, ci saranno contestazioni, risse, lotte, compromessi come succede, del resto, nei vari parlamenti nazionali. Ecco perché l’Italia deve essere pronta a partecipare, con grinta e competenza, a questo gioco.

Purtroppo il presidente Mattarella, continua Magnaschi, facendo fuori Paolo Savona, ha cancellato un grand commis di cui l’Italia avrebbe bisogno per costruire la nuova Europa a livello della quale servono, non solo grinta, ma anche grandissime competenze tecnicoprofessionali. L’Italia per disegnare il suo futuro (che in Europa è al minimo) non ha bisogno di un solo Savona. Ma ne avrebbe bisogno di cento. Quanti ne dispongono, ad esempio, la Francia e la Germania. Che questa prospettiva non faccia piacere ai due paesi egemoni, è naturale e ovvio. Ma che non piaccia alla presidenza della Repubblica italiana è sorprendente. Molto sorprendente.

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