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Palazzi & potere

Il mondo sta cambiando in modo rapidissimo e sconvolgente. Solo il Pd (per non parlare degli altri partiti italiani) è ancora fermo ai rituali ombelicali di vent'anni fa, immutabili più di un rosario. Aveva trovato per strada, e per caso, un segretario (Matteo Renzi) che, come tutti, ha sicuramente fatto molti errori ma che almeno ha tentato di svecchiare un partito che si era incartapecorito, non solo nei suoi vertici che profumano ancora di Botteghe Oscure, ma anche nelle nuove (si fa per dire) leve. Tutti insieme, i suoi oppositori (che si annidano anche nelle file dei renziani) lo hanno fatto fuori, combattendolo con più sistematicità, determinazione e ferocia di quanto il Pd non abbia mai fatto nemmeno nei confronti di Casa Pound. Renzi è stato essenzialmente accusato di voler cambiare una casa che pure sapeva di muffa. La vecchia guardia del Pd, facendo finta di niente, preferiva rimanere così. A ripulire la garitta ci hanno pensato gli elettori, scrive Pierluigi Magnaschi su Italia Oggi.

Del resto anche Berlusconi non è da meno. Egli infatti si presenta nel 2018 con lo stesso, identico programma che aveva presentato nel 1994 (24 anni fa! Tre generazioni dopo, con il metro attuale). Un programma, tra l'altro, che, nel frattempo, non era nemmeno riuscito a realizzare. Anche negli altri paesi europei che contano, l'orologio del cambiamento e dell'innovazione si è inesorabilmente fermato. In Germania, ad esempio, le elezioni sono state vinte da una premier, la Merkel, che si è presentata, come se niente fosse, per la quarta volta consecutiva. Se andava bene la prima volta che si è candidata, non può sicuramente andare bene adesso. La Merkel infatti ha iniziato il suo quarto mandato zoppicando vistosamente fin dalle prime battute e dissipando, nel giro di pochi mesi, il patrimonio di credibilità che aveva accumulato nei tre mandati precedenti.

Anche in Francia, dove, all'Eliseo è arrivato, poco più di un anno fa, Emmanuel Macron, che è un giovanotto poco più che quarantenne, esso, in spregio alla sua data di nascita, si presenta coniugando, sia pure in piccolo, le stesse idee di De Gaulle, che è stato un presidente grandissimo (per la Francia) ma che adesso, con le sue idee di allora, non macinerebbe più nulla, anche se Macron spera ancora di poter vendere in giro, in Europa e nel mondo, le idee defunte di De Gaulle, con risultati patetici e risibili anche agli occhi dell'opinione pubblica transalpina che pure ama ancora nutrirsi di una grandeur che non tornerà più.

Trump si presenta adesso, nell'ospizio politico-istituzionale europeo, con idee che tengono conto del terremoto planetario che è successo nel frattempo. Il presidente Usa infatti arriva, non certo per cercare di svegliare i leader con il pannolone del Vecchio continente (non ha nessuno interesse a farlo; se vogliono tenerlo, il pannolone, facciano pure). Trump invece, arriva, molto più semplicemente, per battere cassa. Per lui, il costo annuale della Nato (che ammonta a 130 miliardi di euro), deve essere ripartito meglio fra i paesi che usufruiscono del suo ombrello protettivo.

Quando la Nato fu costituita (il 4 aprile 1949 a Washington con un accordo firmato inizialmente da 12 paesi) l'Europa, distrutta dalla seconda guerra mondiale, era ancora in gran parte rasa al suolo. Senonché essa aveva anche, di fronte, un'Unione Sovietica armata fino ai denti con le dotazioni belliche imponenti che le erano state regalate dagli Usa per combattere contro Hitler. Per dare l'idea dell'aiuto, basti ricordare che gli Usa avevano regalato all'Urss che, dopo l'assedio di Stalingrado era alla canna del gas, ben 100 mila aerei da guerra. In quelle condizioni l'Europa occidentale non era assolutamente in grado di difendersi da Stalin che invece ambiva metterci sopra le mani (e nell'Europa orientale c'era già riuscito). L'Europa era indifesa, primo, perché i capitali le servivano per la sua ricostruzione infrastrutturale e civile e non certo per i suoi armamenti. E, secondo, perché, per ovvii motivi, la Germania, non solo era stata disarmata, ma le era stato pure impedito di riarmarsi, anche se avesse avuto i mezzi per farlo, visto il macello che aveva fatto pochi anni prima quando le armi le aveva a disposizione.

Nel frattempo, soprattutto dopo il crollo del Muro di Berlino e con la successiva implosione dell'Urss, il pericolo sovietico si è considerevolmente ridotto. Ma i paesi europei, abituatisi a essere difesi dalla Nato, il cui costo è a carico soprattutto degli Usa, hanno destinato ad altre finalità (magari anche di welfare che, senza questo reiterato regalo degli Usa, sarebbe stato sicuramente meno consistente), hanno destinato ad altre finalità, dicevo, le somme che avrebbero dovuto essere utilizzate alla loro difesa. Per cui oggi, ad esempio (i dati sono certi perché sono contenuti un rapporto ufficiale della Commissione Difesa del Bundestag, il parlamento tedesco), il paese economicamente più forte in Europa, la Germania, è costretto a tenere negli hangar, perché ha lesinato nelle spese di manutenzione, il 70% dei suoi jet militari che pertanto non sono in grado di alzarsi dal suolo, e il 60% dei suoi carri armati non sono in grado di uscire dalle caserme.

Trump, che ha da sempre il pallino del riequilibro delle spese Nato, ha subito chiesto alla Germania, appena si è insediato alla Casa Bianca, di alzare il suo contributo, portandolo al 2% del suo pil (ieri, agli alleati, il presidente Usa ha chiesto di arrivare al 4%). Di fronte a questa richiesta, in fondo ragionevole, la Merkel ha però subito risposto picche dicendo che la Germania non ha i mezzi per far fronte a queste spese. Trump allora si è sentito prendere per i fondelli perché la Germania, che è in grado di appesantire in modo intollerabile la bilancia commerciale con gli Usa, non può far finta, quando le conviene e contro ogni evidenza, di avere le pezze ai piedi.

L'anticipo della partita che Trump giocherà in questi giorni in Europa lo si è visto nitidamente in occasione del G7 di Ottawa (Canada) nel corso del quale la Merkel è stata visibilmente (e anche volgarmente, bisogna pur dirlo) asfaltata da Trump. Ma ormai siamo alla politica dei pesci in faccia. Resa possibile e giustificata anche dal fatto che l'orizzonte geostrategico statunitense è completamente cambiato. L'avversario degli Usa, oggi , è la Cina e non certo la Russia che, non lo si sa, ma non bisogna dimenticarlo, ha un pil che è a livello di quello dell'Italia anche se è ancora imbottita di bombe atomiche.

Il problema degli Usa di Trump (ma purtroppo non lo fu per quella di Obama, Bush e Clinton, tutti e tre in ritardo di un'era) non è più l'Europa da difendere dalla Russia ma quello di impedire che la Russia, contrastata, possa essere indotta a schierarsi con la Cina. Ecco perché Washington si allontana non solo da Bruxelles ma persino da Londra (un tempo la sua nazione prediletta) e punta sul Pacifico che è l'area in cui si giocherà il suo futuro e la sua leadership.

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usatrumpeuropanato





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