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Palazzi & potere
Zuckerberg vs. Trump; i veri motivi del 'manifesto'

Perché Mark Zuckerberg ha sentito la necessità di schierarsi apertamente contro Trump e la sua visione antiglobalizzazione? E perché lo ha fatto con un documento/manifesto di 6000 parole, anche visionario così come lo era stato “The Hacker’s way”, la lettera agli investitori per la quotazione di Facebook? Quella lettera si apriva con queste parole “Facebook non è stato creato per diventare una società per azioni. È stato creato per una missione sociale: rendere il mondo più aperto e connesso”. Si sapeva che Mark più di un tecnologo si sente un riformatore sociale e un messia del nuovo mondo interconnesso. Ma sfidare il proprio irritabile presidente in carica in un modo così diretto è veramente qualcosa di sorprendente, come non hanno mancato di rimarcare gli organi d’informazione che si sono spinti a scrivere che il giovane Mark si prepara a sfidare tra quattro anni Trump. Che stia cercando un nuovo lavoro?

Non sta succedendo niente di questo, ma Mark si è voluto staccare dal gruppone dei tecnologi della Silicon Valley che, pur aborrendo Trump, si stanno muovendo sulle uova. A tal punto che il New York Times, il più acerrimo avversario di Trump tra i grandi media, li ha invitati a schierarsi e a buttare sulla bilancia il loro peso. Non succederà presto perché più che il mondo e l’America ai leader della nuova economia sta a cuore il proprio business che potrebbe subire una battuta d’arresto se il presidente gli lancia contro il proprio esercito di attivisti azzannatori. Obama ha lanciato la Silicon Valley in orbita, Trump può riportarla sulla terra. La politica si sta prendendo la sua rivincita e il suo primato.

Zuckerberg ha deciso di schierarsi così definitivamente, perché la visione di Trump può essere veramente una minaccia mortale per Facebook. Facebook è la massima espressione della globalizzazione e delle società aperte che collaborano con i commerci, la circolazione delle persone, dei capitali, delle idee e dei modelli di vita. Se Trump inizia a chiudere le frontiere, porre dazi sulle merci e i servizi non prodotti negli USA, vara una politica estera in cui gli interessi materiali e strategici americani divengono irriguardosi nei confronti di ogni differente questione, allora ci saranno delle ritorsioni e l’America e le sue multinazionali inizieranno a sentire che cosa significa il principio di reciprocità. Facebook può divenire davvero il capro espiatorio di America First. Fuori dagli Stati Uniti, in Europa, in Africa in Asia, Facebook non crea posti di lavoro, non contribuisce al prodotto nazionale, non paga le imposte che dovrebbe pagare, attraverso Facebook si possono influenzare gli elettori con le bufale e i paesi ostili possono immischiarsi negli affari nazionali.

Per i politici e i governi Facebook è una seccatura e lo tollerano perché la gente lo ama e la gente si reca alle urne. Il più grande social network, come tutti gli altri social, si muove in un quadro istituzionale e giuridico indefinito, si appropria dei dati dei cittadini per creare dei dossier che vanno ad attrarre gli investitori pubblicitari che così negano risorse agli operatori nazionali per darle a Mark e ai suoi algoritmi. I tedeschi per esempio sino imbufaliti con Facebook. La commissione europea ha un gran voglia di rissa. Per molte nazioni Facebook non crea alcuna ricchezza. Tutto questo può essere tollerato dalla politica se la globalizzazione è il modo di organizzazione delle relazioni politiche ed economiche mondiali e se la nazione leader alimenta e spinge questo modello. Nel momento in cui lo nega, perché devono essere coloro che la subiscono a supportarlo? Facebook può essere davvero la prima testa colpita dal boomerang Trump. E allora addio quotazioni miliardarie, addio profitti e dividendi. La supernova di Facebook si potrebbe frantumare come si frantumò la Babilonia di Nabucodonosor, dal giorno alla notte.

 

Mario Mancini
*Co-fondatore di goWare, start-up di nuova editoria

Tags:
zuckerbergtrump





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