Pd, "cene ristrette" e "caminetti" dovrebbero essere banditi
"Perdere europee e regionali ? Non gliene importa niente. Quello che importa a loro è il congresso. L'unico segretario, che si dovrebbe candidare, è il Presidente dell'Associazione di psichiatria".
Carlo Calenda è amareggiato e graffiante. L'ex ministro ha annullato, dopo accese polemiche interne, gli inviti a cena ai leader del PD, che aveva diramato per tentare di ricostruire un rapporto tra Gentiloni e Renzi. E soprattutto per cercare di fare un'opposizione più incisiva al governo Salvimaio.
Non ha torto l'ex assistente di Luca Cordero di Montezemolo quando ha ricordato che la Prima e la Seconda Repubblica sono state caratterizzate da "patti della crostata", da caminetti e da incontri conviviali, convocati per rilanciare alleanze o per distendere i rapporti tra esponenti delle coalizioni. "Con Renzi-ironizzaCalenda- c'era un caminettino: lui, Lotti e la Boschi...". Quel che sinora, tuttavia, mi sembra non abbiano ben compreso i capi democrat è quanto sia inopportuno parlare di pranzi, apericene, spuntini, vertici ristretti, organizzati dagli stessi personaggi, che sono ritenuti dagli iscritti corresponsabili della sconfitta elettorale e della crisi. Nella fase attuale, mentre governa "l'esecutivo del cambiamento", e in cui gli slogan, i social e l'immagine contano molto, come dimostra l'ascesa di Salvini, i vecchi e gli aspiranti nuovi capi del PD dovrebbero bandire termini come "cene ristrette". Soprattutto perché evocano lottizzazioni e spartizioni. E, inevitabilmente, allargano le divisioni interne e provocano attacchi al partito,
abbandonato da una larga parte dei suoi elettori, proprio perché accusato di aver pensato, troppo, a "mangiare", a occupare dispendiose poltrone e a dissipare, in primis nel Sud, le risorse del nostro Paese. E, dunque, il Pd dimentichi Leo Longanesi, che diceva : “ le rivoluzioni cominciano per strada e finiscono a tavola”.
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