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Politica
Pd e sinistra verso il fallimento. Tra i colpevoli Renzi e Bersani


Ai tempi di Togliatti c’era la grandezza storica di un’utopia che avrebbe potuto rendere il Paese schiavo e profondamente infelice per un numero indeterminato di decenni. Era già avvenuto – e per via democratica - alla Cecoslovacchia.  I comunisti avevano propositi tremendi ma, almeno per gli ignoranti, dietro c’era un’idea di riscatto e, almeno per gli imbecilli, cioè gli intellettuali, un sogno palingenetico. Ovviamente, l’esperienza concreta dell’Unione Sovietica e di tutti i Paesi comunisti diceva altro. Ma si attribuisce a Lenin questa frase: “Se la realtà ci dà torto, tanto peggio per la realtà”. E per i ferventi del Pci questa baggianata era vangelo.

Poi si è avuta l’implosione del socialismo reale e il comunismo sopravvisse soltanto dove poté mantenersi con la forza della dittatura, come a Cuba, o dove, come in Italia, i bigotti del comunismo erano troppi per abiurare. Questa è la radice dei mali della nostra sinistra.

Se, dopo il crollo del comunismo il Pci si fosse rassegnato a divenire socialdemocratico, tutto sarebbe rientrato nella normalità. Invece temette di perdere i suoi elettori e divenne ambiguo. Da un lato non voleva dirsi socialista – dopo decenni di lotta contro questi ex alleati e dopo la stramaledizione di Craxi – dall’altro non poteva più dirsi comunista, e così non fu più né carne né pesce.

Quando poi si realizzò la “fusione a freddo” con la Margherita, il nuovo partito, che prima aveva un’anima doppia, l’ebbe tripla. E tuttavia riuscì a rendersi ancor più complesso con l’apparizione di Matteo Renzi. Prima era stato in parte comunista, in parte socialdemocratico e in parte democristiano. Renzi cercò di renderlo un partito di centro, “personale”, al servizio delle sue ambizioni. Che un simile partito potesse dirsi “unitario” è impresa azzardata.

Fra l’altro, parlando di “partiti personali”, mentre Berlusconi, padrone unico del centrodestra, sorrideva a tutti e blandiva tutti, Renzi sembrava facesse di tutto per umiliare avversari e dissenzienti. Il principio sembrava essere: “chi non è incondizionatamente con me sarà distrutto”. Ciò però smise di essere possibile quando i successi cominciarono a diminuire. La fronda contro Renzi divenne sonora e l’animosità si trasformò in odio, fino ad una scissione motivata apparentemente da ragioni programmatiche, in realtà dalla incompressibile voglia di liberarsi del piccolo tiranno.

Oggi siamo di fronte al rischio di un possibile, pesante ridimensionamento della sinistra a vantaggio, oltre che dell’astensionismo, del populismo. Di un M5s che, con la sua inconsistenza, il suo dilettantismo e la sua palese inadeguatezza, potrebbe fare più danni persino di un partito antidemocratico come il Pci.

Di chi la colpa di tutto ciò? Uno dei primi colpevoli è probabilmente l’elettorato del Pd. I suoi sostenitori non hanno percepito i mutamenti del tempo ed hanno inchiodato i dirigenti a programmi arcaici e dannosi. Naturalmente a questo atteggiamento hanno largamente collaborato i sindacati che, come ci-devant, non hanno niente imparato e niente dimenticato.

Colpevoli sono anche gli scissionisti. La sostanza vera del dissidio è l’odio per Renzi e tuttavia essi avrebbero torto se anche fosse vero che si sono allontanati dal Pd perché tradiva i principi di sinistra. Infatti di quei principi era tempo di liberarsene. E invece il Mpd rimpiange addirittura l’art.18 dello Statuto dei Lavoratori e altre utopie dannose, quando addirittura non impopolari.

Bersani e i suoi amici avrebbero dovuto rimanere nel Pd. Se per loro Renzi era insopportabile, dovevano contestarlo, votargli contro e cercare di rimuoverlo dall’interno. I Segretari passano e il partito resta. Invece oggi il Mpd appare soltanto capace di provocare danni.

Dei colpevoli fa ovviamente parte anche Matteo Renzi che ha giocato con la politica, col Pd, e in definitiva con l’Italia, con la superficialità di chi, al casinò, crede di spendere gettoni di plastica e non soldi veri. Infatti per dare sfogo al suo pessimo carattere, alla sua demagogia e alla sua ambizione, ha gravemente danneggiato il partito. Ed anche l’Italia. Attualmente il rischio che il Pd perda consensi è tale da indurre gli anticomunisti a sperare che le urne non gli siano troppo severe. Gli avversari utili dei conservatori non sono i dilettanti allo sbaraglio ma i socialdemocratici. Che vorremmo ancora vedere sulla breccia.

Non basta. Fa spavento osservare che tutti si accapigliano come se l’unica cosa importante fosse la loro personale sorte. In realtà nessuno dei grandi problemi economici che mantengono a rischio il nostro Paese è stato risolto e in questo 2017 il nostro debito pubblico, invece di scendere - come ci chiede da anni l’Unione Europea - è aumentato di una cinquantina di miliardi. Fino a toccare, proprio in questi giorni, picchi mai raggiunti prima.  L’Unione Europea è costretta a tollerarci perché la crisi di un gigante come l’Italia innescherebbe la crisi dell’intero continente: ma si ricordi che se l’Unione ha delle remore, non ne hanno gli investitori, i mercati e nemmeno le Borse.

giannipardo@libero.it

 

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pd sinistra





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